Una pioggia fredda e sottile stamattina è scesa su Ascoli Piceno: ma non erano quelle gocce gelate a bagnare i volti e freddare il cuore della gente di questa piccola provincia marchigiana. Oggi un’intera città palpitava, fremeva, lottava per la sua squadra di calcio, ma la battaglia stavolta era troppo dura da vincere. Non si trattava di una partita sul prato verde, infatti; non c’erano 11 eroi da osannare, spingere, sostenere come centinaia di volte il tifoso bianconero ha fatto in ogni categoria da 115 anni a questa parte. La lotta era per sopravvivere e la sentenza, attesa per la verità ma pur sempre durissima, alla fine è arrivata inesorabile: l’Ascoli Calcio 1898 è fallita.
Per i tanti appassionati della gloriosa società marchigiana è stato come vedere morire la propria squadra del cuore una seconda volta: era il 18 dicembre del 1994 quando il padre del calcio ad Ascoli Piceno, il “presidentissimo” Costantino Rozzi lasciava una città atterrita, orfana, priva del pilastro che l’aveva sostenuta per quasi trent’anni, conducendola dall’anonimato della terza serie ai fasti della serie A, risultati che l’hanno a buon diritto resa la “regina” del calcio marchigiano. Una società che tuttavia, per molti, era già morta quel giorno con il suo presidente.
Ma l’avvento della famiglia Benigni aveva riportato in alto una squadra che nel frattempo era precipitata nell’inferno della serie C: la promozione dei “diabolici” nel 2002 ha riportato dopo sette anni in serie B il Picchio. Presto arriveranno altri 2 campionati da protagonista in serie A. Un passo, forse, troppo lungo, che unito ad una gestione scriteriata che ha allontanato una proprietà sempre più assente da una città in rivolta ha, però, dopo anni di penalizzazioni, debiti ed agonia, portato Costantino Nicoletti, amministratore nominato per cercare di salvare il salvabile, a staccare la spina.
Esisteva nel mondo del calcio degli anni ’70 e ’80 una squadra bianconera che faceva tremare i grandi squadroni del Nord, composta da 11 giocatori umili, operai di questo sport, in grado di guardare da pari a pari, senza paura Rivera, Mazzola, Platini, Zico, Maradona. Quella squadra era l’Ascoli Calcio, simbolo di una terra che vedeva nel calcio il suo momento di riscatto: lo stadio Del Duca era una fortezza dove il popolo piceno si schierava in massa respingendo chiunque provasse a violare quel fortino.
Un rapporto, quello tra città e squadra, che oggi come non mai si era cementato. Ascoli Piceno, infatti, è una città fortemente provata dalla crisi, centinaia di persone hanno perso il posto di lavoro: molti vedevano nel calcio e nell’Ascoli Calcio un momento di rivalsa sociale. Il Del Duca era il luogo dove venivano dimenticati i problemi. Tutti, ricchi e poveri, vecchi e bambini, spingevano all’unisono quegli 11 ragazzi che indossando la gloriosa maglia bianconera portavano in giro per l’Italia il nome di una città che molti hanno conosciuto solo grazie al calcio.
Ma una fiammella ancora resta accesa: fallendo ora, infatti, la vecchia società sarà messa nelle mani di un curatore fallimentare mentre una nuova ne sorgerà sulle sue ceneri mantenendo, questa è la speranza dei tifosi bianconeri, categoria e parco giocatori. Ora è caccia al “salvatore” che potrà salvare il calcio ad Ascoli Piceno, ripartendo da zero e cancellando questi ultimi anni di sofferenza. In un secondo momento sarà anche possibile riacquistare il marchio della società, riportando tutto alla normalità. Nulla potrà togliere dalla mente del vecchio tifoso della città delle “cento torri” che oggi però un pezzo del suo anziano cuore si è spento, quella parte tutta bianconera della sua anima da stasera è un po’ più sbiadita.
Forse, dunque, quel picchio che duemila anni fa portò il popolo piceno ad abitare questa terra sulla rive del fiume Tronto tornerà a volare, basandosi una volta di più su imprenditori e professionisti di cuore e su quell’orgoglio che, ne siamo certi, nel cuore degli ascolani non fallirà mai.