In questo Natale, ai tempi dello spread, la riscoperta delle tradizioni è un modo per ritrovare quei valori che sembravano perduti. Dopo il pastore delle meraviglie, è Benino, il pastorello accucciato su un giaciglio di paglia e attorniato da dodici pecorelle, a ricordare agli italiani quali siano i sogni più importanti.
Qualche nostalgico del Ventennio insiste nel chiamarlo Benito (da Benedetto), ma il suo nome è Beniamino, di cui Benino è il diminutivo. Il dilemma a cui è tradizionalmente legato questo pastorello è se stia dormendo o stia sognando. Non è una questione di poco conto, anzi si tratta di una delle chiavi del presepe.
Del sogno si sa tanto, ma spesso si è portati a non fidarsi. Le costruzioni oniriche che si presentano attraverso parole, secondo Omero, ingannano. Artemidoro distingueva i sogni dalla visione onirica: i primi ci dicono ciò che accadrà, i secondi ciò che esiste al momento. Platone, nella Repubblica, chiama sogno la tendenza a scambiare per uguali cose tra loro solo in apparenza simili. Gli eroi dell’Orlando Furioso di Ariosto sono attirati e delusi da beffarde allucinazioni nel palazzo di Atlante. Quando Shakespeare nella Tempesta dice che gli uomini hanno la stessa natura dei sogni non vuol far certo un complimento alla costanza dell’uomo.
Per chi non si fida dei sogni e che, di conseguenza, non può che optare per il Benino dormiente, non è Natale senza l’albero, più semplice e moderno. Apprezzano l’idea di una casa trasformata per qualche giorno in uno studio televisivo. Il presepe è “roba da vecchi”, da bassi napoletani o, al più, da museo. Per chi la pensa così, Benino farebbe forse meglio a svegliarsi piuttosto che stare lì a confondere ciò che immagina con il vero. Bisogna allora svegliare Benino, smontare il presepe, oppure, nel migliore dei casi, lasciarlo dormire in un angolino del presepe.
Per chi preferisce la versione sognante di Benino, il Natale è seguire questi sogni lungo i sentieri misteriosi ed affollati di San Gregorio Armeno, perché il presepe, è esperienza di fede, “una cosa sacra”, come diceva Eduardo De Filippo in Natale in casa Cupiello.
Benino non dorme tra squilli di tromba di angeli, non è indifferente alla nascita del Bambino Gesù, né tantomeno rappresenta il sonno della fede. Benino sogna un mondo tangibile e frangibile di terracotta o cartapesta, che trasmette da secoli, generazione dopo generazione, con cuccagne di salsicce e prosciutti, caciocavalli, cesti ricolmi di frutta profumata, pagnotte calde e cocomeri maturi in pieno dicembre, pizzaioli che non si stancano mai di sfornare pizze buonissime, uomini brilli nelle osterie, donne dalle forme prosperose che stendono i panni o vanno al fiume a riempire le brocche, pescivendoli che vendono capitoni, cozze e taratufi a Betlemme, cacciatori e pastorelli felici.
Il presepe è il paradiso che sogna Benino, un paradiso fatto di uomini e donne dallo stomaco sazio ed eternamente fanciulli. Allora Benino sogna per tutti quelli che nel suo mondo onirico cercano qualche segno, qualche risposta che riveli la strada. Benino sogna per chi spera che i desideri a Natale si avverino. E guai a svegliarlo, perché di colpo sparirebbe il presepe con tutta la sua magia, che aiuta a godere questo Natale ai tempi dello spread.