Vi sarà capitato, ogni tanto, di iniziare a leggere svogliatamente un libro o guardare senza interesse un film, per poi essere risucchiati completamente dalla storia, senza un motivo apparente.
Sono i particolari, a volte, che attirano la nostra attenzione, una frase pronunciata in un certo modo, una descrizione che fa affiorare un ricordo, un personaggio che ci sembra aver conosciuto.
Da qualche settimana, abbandonato nel caos della superficie del mio comodino, il nuovo romanzo di Gianrico Carofiglio, Il bordo vertiginoso delle cose, se ne stava in silenzio, ad aspettare il suo turno, in cima a una pila di altri libri che “prima o poi li leggo tutti”.
Una mattina, in ritardo per l’ennesimo treno, l’ho afferrato e infilato in borsa, preparandomi ad affrontare un lungo viaggio.
“Se io avessi pochissime parole per descrivere il libro, direi che è una storia d’amore”, dice Carofiglio alla fine del booktrailer. Eppure non era stato questo ad attrarmi. Credo che mi fosse piaciuto il fatto che è un romanzo che parla di uno scrittore. Uno scrittore che non riesce più a scrivere, schiacciato dal successo del suo primo romanzo, pubblicato tanti anni prima.
Enrico Vallesi, il protagonista, è un personaggio irrisolto, che vive di grandi rimpianti, che pensa al passato come a una lunga serie di occasioni perdute.
Una mattina, mentre fa colazione al bar, legge una notizia di cronaca che lo colpisce molto, che gli fa tornare in mente un periodo intenso e doloroso della sua vita e decide di sospendere tutto e partire.
Torna a Bari, la città che ha lasciato giovanissimo, e si mette alla ricerca di qualcosa che non riesce a decifrare, risposte o solo ricordi.
Ripensa a Celeste, la giovane supplente di filosofia della quale era innamorato, di un amore acerbo, assoluto e violento, come tutti gli amori mai corrisposti dell’adolescenza.
E ripensa a Salvatore, compagno di banco pluripetente, il cui carisma e la cui forza fisica l’avevano sempre affascinato.
In questo ritorno alle origini, in una città che non riconosce, prova a ricostruire le ragioni delle sue continue fughe, dei suoi fallimenti, delle sue debolezze.
La memoria torna agli anni della scuola, gli anni della formazione, del desiderio di essere accettati, del bisogno di affermare la propria identità. Gli anni di piombo, in cui era facile entrare in contatto con la violenza, da militanti o meno, quella violenza che tanto attraeva il giovane protagonista.
Quanto hanno influito le scelte fatte da ragazzino con il suo presente? Quanto è rimasto in lui del primo amore?
Il libro è un interessante alternarsi di terza e seconda persona, presente e passato. Nel suo ritorno alle origini, inseguendo una traccia su un articolo di giornale, Enrico affronterà i suoi fantasmi, la fine recente di una storia d’amore, le differenze con suo fratello, il bisogno di fuggire da Bari subito dopo la fine della scuola. E soprattutto la sua difficoltà con la scrittura, la sua incapacità di finire un’altra storia, la sua storia.
Sarà perché anche io trovo che scrivere sia faticoso, come ha ammesso anche Carofiglio durante la simpatica presentazione in casa Rizzoli, o sarà perché simpatizzo sempre per chi non ce la fa (o non vuole farcela), che ho amato molto il romanzo.
Lo stile asciutto ed essenziale, l’analisi cruda e crudele della banalità delle cose, della perdita dell’innocenza e la totale assenza di un giudizio morale sugli eventi, hanno reso i miei due pomeriggi in compagnia di Vallesi molto piacevoli.
Perché per farci appassionare a un testo, non ha importanza quanto la storia che stiamo leggendo somigli alla nostra, contano le suggestioni, le sfumature in cui ritroviamo noi stessi.
Non importa quale sia stato il punto di partenza, quali esperienze ci abbiamo formato, se ci sia stata o meno una Celeste nella nostra adolescenza, che ci abbia spinto a crescere e a capire. Quello che importa è il coraggio che mettiamo nel fare i conti col passato, ogni volta che cerchiamo alibi per non andare avanti.
Perché non conta quale sia il nostro blocco (scrivere, amare, ricordare), la cosa importante è riuscire a stare in equilibrio, su questo bordo vertiginoso di ogni cosa.
[L’immagine utilizzata è estratta dalla copertina del libro menzionato]