Lui è così: sensibile. Sensibile a tutte le cose, alle emozioni, alle energie che si celano nella materia.
Ferzan Ozpetek vive in un mondo differente, pieno di sensazioni sconosciute per la maggior parte delle persone. Si commuove di continuo: per una canzone, per la scena di un film, per il dramma della solitudine vissuta dagli oggetti .
Una volta al supermercato è tornato indietro a riprendere una confezione rimasta da sola in uno scaffale, così, per evitare che un barattolo qualunque provasse la disperazione di chi viene abbandonato.
Il famoso regista turco vive in completa simbiosi con gli oggetti e con l’energia di chi popola il suo mondo; si carica sulle spalle ogni giorno il peso di un enorme magma emozionale che non abbandona mai, nemmeno mentre fa la spesa.
Il suo mondo sensibile si riversa completamente nei suoi film popolati da magnifiche presenze come la sua vita quotidiana, fatta di gioie, emozioni e dolori come quella di ogni altro essere umano. Ma per lui è tutto diverso, è tutto più grande, più rumoroso, più percettibile.
L’amicizia, l’amore, la famiglia sono tematiche centrali di ogni singola pellicola; la parola ‘amore’ in tutte le sue forme diviene chiave di volta di ogni suo lavoro.
Lo straordinario ‘Mine vaganti‘ racconta dall’interno i rapporti umani che si intrecciano all’interno delle famiglie, ‘Cuore Sacro’ fa invece leva sul senso di spiritualità dello spettatore, spesso inascoltato.
‘Le fate ignoranti’ si occupa da vicino dei rapporti di amicizia mentre ‘La finestra di fronte‘ calca la mano sul sempre più comune e desolante senso di insoddisfazione dell’essere umano, spesso inghiottito da una vita sorda e monocorde. Non ha paura di spingere troppo sui sentimenti, come in ‘Allacciate le cinture‘ in cui narra la storia di un amore puro tra un uomo e una donna e lungo 13 anni.
L’arte di Ozpetek si costruisce sui sentimenti, sulle vibrazioni e le percezioni che fanno sentire vivi gli esseri umani.
Spesso viene accusato di ‘essere troppo melò’, cioè smielato, stucchevole. Ma ci sono momenti dei suoi film nei quali il cuore degli spettatori rimane in apnea per qualche istante, rapito d’improvviso da una scena forse un pò troppo melò ma che chiunque vorrebbe vivere nella vita reale, fuori dalle sale del cinema.
La centralità del sentimento e dei rapporti umani porta il regista ad essere schiavo della sua stessa sensibilità, quasi simile a quella di una femmina perché nutrita durante una infanzia popolata quasi completamente da donne.
Teme e soffre la solitudine, si porta dietro un pesciolino rosso che non abbandona mai, come se avesse stretto una promessa di sostegno per l’eternità.
Ama trascorrere il tempo con gli amici osservandoli durante le sue cene in silenzio, quasi in sordina. Dice di accogliere chiunque in casa sua e di dispensare energia positiva, come se la sua ‘semina’ immaginaria promettesse realmente raccolti fruttuosi.
E’ ossessionato dalla tracce, quelle di chi passa per casa sua e che osserva una volta rimasto solo con se stesso: il divano sgualcito, la tazzina di caffè sporca, la sigaretta spenta. E’affascinato dalle ‘presenze’, quelle forti e urlanti di chi è andato via.
Non crede nell’aldilà, ma di una energia motrice che è alla base di ogni evento naturale e che cattura per sempre la presenza di qualcuno, senza lasciarlo mai andare via completamente.
[Fonte: Repubblica.it]