Italiani poveri e infelici. A Natale si riscoprono le tradizioni

Tutti gli ultimi rapporti statistici parlano di un paese che più di altri subisce la crisi. Lo dicono l’Eurostat e il Censis. Un italiano su tre sarebbe a rischio povertà e la grave situazione economica, sociale e politica del paese, influisce negativamente anche sul Natale, che dovrebbe essere invece il periodo più gioioso dell’anno.

Ma ritrovare un momento di serenità è possibile, riscoprendo tradizioni semplici e antiche come quella del presepe, che nasconde elementi di saggezza popolare che aiuteranno a sopportare anche un nuovo anno che si preannuncia pieno di incertezze.

Gli uomini di libertà preferiscono l’albero di Natale, gli uomini d’amore preferiscono il presepe“, in questo modo Luciano De Crescenzo, nel celebre film Così parlò Bellavista, giustifica la passione dei napoletani, in quanto popolo d’amore, per il presepe.

Secondo la tradizione, il primo presepista fu San Francesco d’Assisi, che amò il prossimo come nessun altro è mai riuscito dopo di lui, una figura tanto forte e importante anche per la Chiesa che solo quest’anno si è avuto il primo Papa con il suo nome. A Greccio Francesco realizzò nel 1223 la prima rappresentazione vivente della Natività e un cronista, tale Tommaso da Celano, così racconta la scena: “si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il buio e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma in una nuova Betlemme“.

Da allora il presepio si è arricchito di tante figure, mentre noi, di generazione in generazione, ci siamo sempre più impoveriti, non solo economicamente. Riscoprire le tradizioni, i valori che alcune figure del presepe incarnano, può aiutare a goderci questo Natale ai tempi dello spread.

Il pastore della meraviglia è chiamato in Provenza le ravì, cioè l’estasiato, mentre in Sicilia lo chiamano lu spavintatu, a sottolineare lo stupore di questo personaggio. Leggenda vuole che un giorno le statuine del presepe se la prendessero con questo pastorello, perché a differenza degli altri, lui se ne stava lì, davanti alla grotta, con le mani vuote, senza alcun dono da portare a Gesù. “Non hai vergogna? Vieni a trovare Gesù e non porti niente?“. Incantato, non rispondeva: era totalmente assorto nel guardare il Bambino Gesù. I rimproveri cominciarono a farsi più fitti. Allora Maria, la mamma di Gesù, prese le sue difese: “Il pastorello incantato non viene a mani vuote. Guardate, porta la sua meraviglia, il suo stupore. L’amore di Dio, fatto Bambino, lo incanta. Il mondo sarà meraviglioso quando gli uomini, come questo pastorello, saranno capaci di stupirsi. Capite? Dio per amore nostro si è fatto come noi, per farci come lui“.

Si tratta, in sostanza, di un poveraccio, un sempliciotto, ma felice, perché da tutto trova motivo per estasiarsi. Riesce a vedere il lato buono di ogni cosa e di ogni persona. Tuttavia, senza di lui, il presepio non funzionerebbe, i pezzi di sughero non si trasformerebbero in montagne ricoperte di muschio, le luci in stelle e la cartapesta nella magia del Natale. È il pastore che ha regalato al mondo i doni più belli, la meraviglia e la filosofia. Infatti, secondo Aristotele, gli uomini cominciarono a filosofare a causa della meraviglia, cioè dalla consapevolezza della propria ignoranza e dal desiderio di superarla, di apprendere, di conoscere e di sapere.

Se state facendo il presepe, quindi, lasciate da parte colonne doriche e archi a tutto sesto come sfondo dal sapore “positanese” alla povera capanna dove nacque il Bambin Gesù, ma ricordate di mettere il pastore della meraviglia al posto che merita, cioè dinanzi alla grotta tra i Re Magi. Un augurio, per ricordare a tutti che un Natale meraviglioso non è quello necessariamente sovraccarico di cose, ma può esserlo anche quello che restituisce la capacità di stupirsi, di recuperare la semplicità dello sguardo, per guardare il mondo e le persone con occhi nuovi.

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