In quest’ultimo anno gli italiani sono diventati sempre più poveri, sempre più disillusi, sempre più scoraggiati. Ormai non si vive: si sopravvive. Lo dice il 47° rapporto nazionale a cura del Censis, che anche quest’anno ha analizzato la direzione verso cui si sta evolvendo, o forse sarebbe più giusto involvendo, la società italiana. Dopo alcune considerazioni generali, il Censis ha analizzato “la società italiana al 2013”, trattando anche temi più specifici come la formazione, il lavoro, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
Risultato? Gli italiani sono al limite. L’anno è cominciato nel caos delle elezioni politiche, con la sensazione di impotenza nel constatare quanto, una volta in Parlamento, per rincorrere la stabilità i rappresentanti votati dal popolo non abbiano effettivamente cambiato la situazione, col risultato che a rimanere stabile è stato anche il disagio. Il Censis parla di “reinfetazione“: sempre le stesse facce, sempre le stesse parole, sempre lo stesso Presidente della Repubblica, per la prima volta nella storia del Paese. È come se avessero trasmesso agli italiani il messaggio che lassù niente cambierà mai, ma se non cambia niente tra le alte sfere, non si capisce come potrebbe cambiare qualcosa ai piani bassi.
Piani bassi, sempre più bassi: fenomeni come la crisi e la disoccupazione giovanile, enfatizzati dalle Istituzioni, sempre secondo il Censis, al fine di poter passare come le uniche a possedere l’autorità per porvi rimedio, hanno nel frattempo impoverito gli italiani, sfiancandoli. E allora ecco che la società si è ingegnata con scappatoie, in una sorta di mors tua vita mea. Egoismo, individualismo, accidia fanno sempre più da padrone in un’Italia dove i “furbetti” si fanno sempre meno scrupoli. L’Italia infatti è anche agli ultimi posti nella classifica europea di Trasparency International e ogni anno circa 50/60 miliardi di euro volano via in tangenti. A ciò si aggiungono diseguaglianze sociali, scarsa fiducia nella politica e conseguente disinteressamento, comunicazione di massa accettata passivamente. Più si precipita e più aumenta l’infelicità, acuita dal ricordo di quando si stava meglio.
Eppure la discesa non può essere infinita: nascoste sotto tanto avvilimento ci sono forze che potrebbero risollevare la situazione, se ben sfruttate.
Ancora lontani dagli standard europei, ma quanto a presenza femminile nella Pubblica Amministrazione l’Italia se la sta cavando bene, con il 55% degli occupati. Certo, vi è ancora parecchia disparità dal punto di vista della retribuzione, ma la direzione è quella giusta.
Inoltre, puntare su welfare e digitalizzazione in campo economico non può essere che una scelta vantaggiosa. Sono già due ottimi punti di partenza per la risalita.
Ma c’è qualcosa in più oltre la pratica, scuotendo la quale si potrebbe tornare ad avere fiducia in questo Paese: la connettività. Per quanto l’egoismo e l’individualismo siano diventati ormai un valore da difendere per una certa percentuale di italiani, tornando a collaborare in vista non solo del proprio futuro, ma anche di quello della Nazione, il rischio involuzione potrebbe essere scongiurato. Se l’interesse collettivo vincesse su quello individuale, gli italiani comincerebbero a ripartire. E stavolta non sono solo parole appassionate del giornalista, dell’economista o del politico di turno, ma i numeri riportati da un istituto di ricerca che fotografa l’Italia da quasi cinquant’anni.
La connettività quindi dovrebbe partire dal basso, perché anche il Censis ha avuto modo di calcolare quanto la politica e le Istituzioni siano autoreferenziali. Quasi 30 italiani su 100 di tutte le età affermano di essere più felici nel fare del bene agli altri piuttosto che prendendosi cura di sé in altri modi, ad esempio andando in palestra. Un popolo di gente buona, insomma, e forse proprio questo può diventare un punto di forza. Lo dicono i dati: gli italiani sono disposti a fare visita ad un ammalato (il 40%), ad appoggiare la manutenzione di scuole (il 37%), spiagge e boschi (il 34%), ad aiutare in caso di calamità naturale (il 36%). In quest’ultimo caso in particolare è interessante notare come la percentuale per territorio aumenti quando zone limitrofe siano state interessate da eventi disastrosi, a cui purtroppo l’Italia è avvezza.
In conclusione, per quanto il quadro generale sia abbastanza drammatico, con la maggioranza degli italiani che arranca a stento cercando di far quadrare i conti, ripartire è possibile.
Più che una retrocessione quella di quest’anno potrebbe essere una rincorsa, prima della partenza.