Il tribunale di Kiev è stato chiaro: se le sedi occupate del municipio e dei sindacati non saranno sgomberate entro cinque giorni, interverrà la polizia.
I manifestanti poche ore prima avevano minacciato di bloccare la sede del governo e quella presidenziale: “lanceremo un imponente presidio del governo e dell’amministrazione presidenziale“, aveva annunciato Oleksandr Turcinov, braccio destro della leader dell’opposizione Yulia Timoshenko.
Da domenica scorsa infatti gli attivisti del partito nazionalista Svoboda hanno occupato il municipio, in piazza Maidan, portando avanti la protesta che dal 25 novembre mobilita decine di migliaia di Ucraini: chiedono che il presidente Viktor Yanukovich cambi idea e decida di firmare il patto di Vilnius, con cui il 21 novembre l’Ucraina è stata ad un passo dal partecipare all’Unione Europea.
L’Ucraina si trova in bilico, a cavallo tra i colossi dell’Unione Europea ad ovest e della Russia ad est: si tratta di scegliere quale dei due garantisca al meglio i bisogni del paese. Da una parte c’è l’Europa, garanzia di diritti democratici, grazie ai quali sarebbe subito libera la leader dell’opposizione Yulia Timoshenko in carcere per “abuso d’ufficio”, e prospettiva di un mercato più competitivo, ma potenzialmente più vantaggioso. Dall’altro, invece, c’è la Russia di Putin e la sua indispensabile fornitura di gas, unita ad allettanti finanziamenti che rimetterebbero in sesto le disastrate finanze del paese. Si tratta di un gioco di forze: all’Europa interessa strappare l’Ucraina dalla sfera d’influenza di Putin, mentre la Russia è determinata a realizzare il suo progetto di un’Unione Eurasiatica.
A Kiev, intanto, sono ormai tre settimane che il governo sta scontando le conseguenze del suo dietrofront. La popolazione non è stata disposta ad assistere inerme all’infrangersi di quella che pareva un’occasione per il paese. Riecheggiando il fervore della Rivoluzione Arancione di nove anni fa, la popolazione è scesa in piazza per rivendicare il proprio volere: picchetti in piazza Maidan, già simbolo proprio della Rivoluzione Arancione, e in piazza Europa scontri tra manifestanti, per lo più i nazionalisti di Oleg Tiagnibok, affiancati dall’Uder di Vitaly Klitschko e dall’Unione Pan-Ucraina dell’ex premier Yulia Timoshenko. La protesta è culminata con una irruzione nei palazzi delle Istituzioni e con un voto di sfiducia proposto dai tre partiti di opposizione. Eppure, nonostante la mozione abbia ottenuto il sostegno di solo 186 voti contro i 226 necessari per passare – complice anche l’astensione del partito di governo – la protesta non accenna a spegnersi, tanto da rendere necessario un ultimatum: cinque giorni di tempo, prima dell’intervento della polizia.
Ma alcuni fattori lasciano presagire che, se la situazione dovesse degenerare, l’Ucraina non sarà sola: Westerwelle, ministro degli Esteri tedesco, si è recato proprio in questi giorni sul luogo della protesta per la riunione dell’Ocse e ha preferito parlare con le forze pro-Europa, incontrando l’ex ministro dell’economia Arseny Yatsenyuk e Vitaly Klitschko piuttosto che il presidente Yanukovich: “le porte dell’Unione sono ancora aperte“, ha dichiarato davanti ai manifestanti, “e le offerte dell’Europa restano valide. La sorte dell’Ucraina non ci è indifferente, dev’essere a bordo dell’Europa“.
[Foto: Valentyn Ogirenko, Brendan Hoffman]