Lo sport come strumento di diplomazia politica segna un nuovo capitolo, fatto di colori accesi, look sfarzosi e poco consueti. In due parole Dennis Rodman, ambasciatore, così si è voluto definire, tutt’altro che ordinario, incaricatosi di rendere placidi i rapporti tra America e Corea del Nord. Una storia quasi surreale, se il protagonista non fosse proprio lui, The Worm, Il Verme, camaleontico pivot introdotto nella Hall of Fame del basket mondiale.
America, Finlandia, Inghilterra, Filippine, sono solo alcune delle tappe degli infiniti viaggi del giocatore più pulp che la palla a spicchi abbia mai visto, recentemente appassionatosi alle faccende diplomatiche e volenteroso di lasciare il proprio segno indelebile nella storia del mondo. Stiamo parlando di un personaggio unico nel suo genere, trasformista ed anticonformista, celebre per l’immensa levatura cestistica ma soprattutto per uno stile di vita del tutto fuori dal comune, non proprio il ritratto dello sportivo tutto casa e palestra.
La sua storia personale meriterebbe pagine e pagine di racconto, perché il nativo di Trenton cresciuto a Dallas ne ha combinata e detta di ogni. Vestito con una pelliccia o con un abito da sposa, non ha mai lesinato le provocazioni: “Qual è l’indumento che ti dispiace non aver mai indossato?”, “Il Preservativo”. Non proprio l’affermazione di un sofista, ma questo è Rodman, colui che venne inviato a Roma per il conclave da un’agenzia di scommesse irlandese per scoprire quante possibilità ci fossero che il Pontefice fosse di colore. Chi mandare se non lui?
Il profilo del personaggio in questione rende ancora più avvincente la sua nuova avventura: ad inizio 2013 inizia a frequentare i salotti del giovane Kim Jong-un, leader maximo della Corea del Nord, stato socialista sorretto dal regime dittatoriale della famiglia Kim, tornata agli onori della cronaca per la minaccia poco velata di scatenare un attacco nucleare contro gli Stati Uniti nell’aprile del 2013. Non la prima, di certo non l’ultima insidia proveniente dal quartier generale di Pyongyang, capitale dello stato, che da sempre rivendica il controllo della vicina Corea del Sud, in continui dissidi con Stati Uniti, Giappone, e perennemente sanzionata dagli organi di controllo mondiali per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Nel 2010 la storica partecipazione al Mondiale di calcio, la seconda dopo il 1966: risultati folcloristici dal punto di vista sportivo, ma di grande valenza per il popolo nordcoreano, sebbene siano circolate informazioni tutt’altro che encomiabili circa la sorte di allenatore e giocatori dopo la kermesse calcistica, vista le voci diffuse circa un loro impiego ai lavori forzati in un cantiere edile, subito smentite dalla Fifa.
Sport e politica, un connubio quasi inscindibile, con esempi significativi passati alla storia: la leggendaria diplomazia del ping pong tra Cina e USA degli anni 70, riportata anche nel film Forrest Gump, è certamente il più fulgido esempio di come un mero diletto possa avvicinare realtà tanto lontane: allora Mao e Nixon, oggi Kim Jong e … Dennis Rodman. La passione per il basket del “Maresciallo” nordcoreano è ben nota, visto che durante gli anni di studio in un collegio in Svizzera, era solito aggirarsi per il campus indossando la canotta numero 91 dei Chicago Bulls, guarda caso quella di Rodman.
Il primo viaggio risale a febbraio, quando The Worm e alcuni membri degli Harlem Globetrotters si presentarono in Corea per girare un documentario: ironia della sorte l’incontro tra Kim Jong e Rodman venne immortalato tra sorrisi e colloqui fitti proprio durante una partita di basket. Con il suo “amico per la vita”, tra una chiacchiera e l’altra cercò anche di informarsi circa la sorte di Kenneth Bae, missionario americano detenuto e condannato ai lavori forzati per proselitismo e atti ostili al regime, lavorando da vero diplomatico per ottenerne la liberazione.
L’intervento dell’FBI per avere informazioni dettagliate dall’improvvisato mediatore, un secondo viaggio fatto a settembre e ora la nuova avventura: Rodman tornerà a Pyongyang il 18 dicembre per guidare la nazionale di basket della Corea del Nord e tra qualche settimana la sfida contro una squadra di vecchie glorie Nba. Una storia surreale, ma bella.
“Tra le dieci persone più identificabili al mondo io sarei alla posizione numero 5: davanti a me Dio, Gesù, Muhammad Alì e Obama”. Tutto il resto è Dennis Rodman.
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