Domenica 4 dicembre del 2011 per molti di noi è stato un giorno come tanti, ma per un intera generazione di amanti del calcio ha significato la perdita di una parte della propria giovinezza. Quel giorno, dopo l’ennesima crisi intestinale figlia degli eccessi alcolici che hanno sempre caratterizzato la sua vita, in un ospedale di San Paolo si spegneva per sempre la luce di Socrates.
Quando un grande protagonista dello sport ci lascia si iniziano a decantarne le imprese sportive, le vette raggiunte nella carriera, ma nel caso del calciatore brasiliano questi sono solo una parte del quadro, forse nemmeno la più significativa. Socrates va oltre il calcio, va oltre le esibizioni di “futbol bailado” e i colpi di tacco con cui aveva incantato il mondo insieme agli altri fenomeni del Brasile dell’82 di Telè Santana (sconfitto per 3 a 2 dall’Italia di Bearzot in una partita indimenticabile), per molti la squadra più forte di sempre a non vincere un mondiale, per alcuni la più forte di sempre, punto. Con le sue azioni ha saputo assurgere allo status di icona per un intero paese, favorendo la diffusione degli ideali democratici nei difficili anni della dittatura militare.
A chi nasceva in una famiglia povera come quella di Socrates, la vita nel paese carioca di solito non riservava un destino favorevole. Per fortuna il padre, nonostante le umili origini, era un appassionato di filosofia, tanto da assegnare al figlio un nome che richiamasse alla mente uno dei più grandi pensatori della storia. Il destino è nel nome si dice, e questo è uno di quei casi. Negli anni dell’oscurantismo dittatoriale leggere Hobbes, Platone e Macchiavelli fu di fondamentale importanza per il ragazzo di Riberão Preto, che sviluppò un pensiero proprio e una passione verso la politica.
Il calcio è entrato dalla porta di servizio nella vita di Socrates, dal momento che aveva scelto di intraprendere la strada della medicina. Ma le sue qualità erano troppo eccelse per poter abbandonare il terreno di gioco: altissimo e magro, ma dotato di intelligenza calcistica fuori dal comune e di piedi vellutati, nel 1977 trascinò alla vittoria nel primo turno del Paulistao la squadra della sua città, il Botafogo (omonimo della squadra di Rio).
Che fosse un uomo speciale si capisce dal fatto che, nonostante le offerte ricevute, volle terminare gli studi prima di spostarsi. Ma è solo quando arrivò al Corinthias che il suo nome si diffuse sulla bocca di tutti, perchè quella squadra divenne ben presto portavoce di qualcosa che va oltre lo sport, e Socrates ne fu il protagonista principale.
Agli inizi degli anni ’80, quando la proprietà del “Timao” passò nelle mani di Waldemar Pires, iniziò la rivoluzione. Il sociologo Adílson Monteiro Alves, divenuto direttore tecnico della squadra, propose ai calciatori un modello di gestione differente: non più accettazione passiva di ordini altrui, ma votazione sulle decisioni da prendere, di qualunque natura esse fossero. Ogni elemento del club, dal calciatore al magazziniere, aveva la possibilità di esprimere le proprie preferenze in merito alle diverse questioni: era l’inizio di quella che sarebbe passata alla storia come “Democrazia Corinthiana“, movimento che diede una scossa ad un ambiente calcistico in cui le principali società erano legate alle alte gerarchie del potere militare.
Insieme ad altri grandi calciatori come Walter Casagrande, Zenon, Biro Biro e Leao, Socrates riuscì a portare a casa due campionati Paulistas (’82 e ’83), ma l’aspetto fondamentale della vicenda fu la sfida lanciata al regime, in cui il figlio di Riberão Preto era in prima fila, con slogan come “vincere o perdere, ma sempre con democrazia” o “libertà con responsabilità“, e la veicolazione continua di messaggi ad alto valore civico. La realizzazione stessa dell’utopia di una squadra gestita democraticamente, in un paese sotto dittatura, contribuì a rendere più forte il vento di cambiamento che iniziava a soffiare in quegli anni.
Di Socrates si ricorda anche la breve esperienza alla Fiorentina, nella quale non riuscì ad ambientarsi per la troppa diversità tra la sua concezione di calcio e quella in voga nel nostro paese. Ad influire sulle sue prestazioni contribuirono anche i vizi mai sopiti per fumo e alcolici, un paradosso per un “Doutor” come lui. E proprio quei vizi lo hanno condotto a una morte prematura, in una domenica pre-natalizia come tante di due anni fa.
La leggenda vuole che nell’83, in seguito alla domanda di un giornalista su come immaginasse la sua morte, avrebbe risposto: “Quero morrer em um Domingo e com o Corinthians Campeão” (voglio morire di domenica e con il Corinthians campione). E mentre lui giaceva nel letto di morte, il “Timao” si è laureato davvero campione del paese, dopo la finale del Brasilerao vinta contro gli acerrimi rivali del Palmeiras. Prima della partita i calciatori di entrambe le squadre hanno omaggiato Socrates con un minuto di silenzio, durante il quale i corinthiani hanno imitato il gesto del pugno in alto con cui esultava dopo ogni goal. Perchè gli uomini muoiono, ma i simboli no, quelli rimangono per sempre.
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