Oggi ricorre il primo anniversario della Giornata mondiale del suolo. Il Consiglio dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) delle Nazioni Unite (ONU), infatti, ha deciso di proporre l’istituzione del 5 dicembre come Giornata da dedicare ad un tema quasi mai in cima alle priorità della classe dirigente, ma di cui l’Italia, suo malgrado, si ritrova a discutere ogni anno, di volta in volta a seguito di una tragedia sempre diversa. Nel 2013 la Sardegna, nel 2012 la Maremma, nel 2011 Genova e le Cinque Terre, nel 2010 il Veneto, nel 2009 Giampilieri e Scaletta Zanclea, solo per citare solo i luoghi più colpiti.
Ecco perché, da quando la situazione è diventata insostenibile, un anno fa le principali associazioni ambientaliste italiane hanno sottoscritto una Carta di Intenti per “la messa in sicurezza ambientale dell’Italia“. Sono il Club Alpino Italiano, la Fai, Italia Nostra, Legambiente, il Touring Club Italiano ed il Wwf: hanno richiesto un tavolo di confronto permanente presso la presidenza del Consiglio dei ministri, le amministrazioni competenti, le associazioni della società civile e le associazioni scientifiche e professionali, affinché fossero garantite risorse per le attività di prevenzione ed intervento nelle emergenze, il coinvolgimento delle popolazioni ed il coordinamento degli interventi.
Le sei associazioni sono state spinte a sottoscrivere la suddetta Carta di Intenti dopo aver realizzato che dei 2,6 miliardi di euro promessi per raggiungere, entro il 2027, la cifra di 40 miliardi destinata ad una Strategia di adattamento, nella Legge di Stabilità del 2013 non vi erano neanche i fondi per gestire le emergenze. Dei 2,6 miliardi necessari per gli interventi di manutenzione preventiva più urgente e di adattamento ai fenomeni più estremi, alla Protezione Civile sono stati concessi solo 79 milioni. Il risultato è il triste bilancio delle alluvioni dei giorni scorsi.
“La messa in sicurezza sia considerata la vera, più grande opera pubblica a garanzia del futuro del Paese. La migliore risposta alla necessità di un rilancio economico e occupazionale dell’Italia. Solo così si avrebbe sicuramente un intervento diffuso sul territorio, ad alta intensità occupazionale, oltre che ad elevata qualificazione professionale“, recita la Carta degli Intenti del 2012. Ad un anno di distanza, la lezione ancora non è stata recepita. Ma dov’è il problema? Preferiamo davvero continuare a contare le vittime, piuttosto che prevenire i disastri che le provocano?
Forse allora vale la pena puntare sulla consapevolezza degli italiani: “per come stanno le cose oggi in Italia, il suolo continua ad essere considerato una risorsa monofunzionale, ovvero una risorsa economica per il privato che può guadagnarci e per il pubblico che pure può guadagnarci attraverso la riscossione degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione” spiega Paolo Pileri, responsabile scientifico dell’Osservatorio nazionale sul consumo di suolo e ricercatore presso il Politecnico di Milano. “Se ad interrompere il circuito sarà il mercato“, continua, “la preoccupazione è che ciò possa accadere troppo tardi, ovvero quando si sarà accumulata una quantità di immobili ben oltre la necessità e quando, quindi, saranno andati compromessi terreni utili per l’agricoltura, la natura e le diverse necessità sociali“. Insomma, in Italia continuiamo a costruire come se lo spazio a disposizione fosse infinito: le aree cementificate crescono di 8 mq al secondo, il suolo libero è diminuito di più del 17% dal 1990 al 2005 e la percentuale va aumentando sempre di più, tanto che già nel 2008 l’Istat annunciava un'”accelerazione senza precedenti” dell’urbanizzazione. Nel nostro Paese, secondo il Wwf non è possibile tracciare un cerchio di 10 km senza incappare in un insediamento urbano.
Invece non solo il territorio italiano non è infinito, ma per di più è quantomai fragile: “in Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento il 100% dei comuni è classificato a rischio, subito seguite da Marche e Liguria, col 99%, e da Lazio e Toscana, con il 98%. Ma la dimensione del rischio è ovunque preoccupante, con una superficie delle aree ad alta criticità geologica che si estende per 29.517 Kmq, il 9,8% del territorio nazionale. In Italia oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni“, si legge sul sito del WWF.
Per i prossimi anni, la Legge di Stabilità per il 2014 sembra voler destinare 30 milioni al potenziamento degli interventi straordinari per la difesa del suolo, a cui ne verranno aggiunti 50 nel 2015 e 100 nel 2016. Non possiamo ancora sapere se e quanto effettivamente verranno spesi a dovere; resta solo da sperare che l’apprensione degli italiani per un temporale un po’ più violento del solito presto diventi solo un ricordo.
[Foto: comequando.it]