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Categorie: Cultura Televisione

Il fenomeno Downton Abbey torna con la terza stagione

Published by
Enrica Raia

Il fascino nostalgico di un’epoca perduta, colta nei suoi anni del tramonto, un attimo prima che tutto cambi per sempre. Questa è Downton Abbey, la serie britannica più premiata degli ultimi anni e più acclamata dai critici. In Inghilterra si è da poco conclusa la quarta stagione mentre in Italia manca poco al debutto della terza serie, in onda su Retequattro dal 19 dicembre.

Da noi il period drama cult ideato e scritto da Julian Fellowes (premio Oscar per la sceneggiatura di Gosford Park) è passato quasi in sordina, vittima di uno scarso battage pubblicitario e una programmazione infelice. Nel resto del mondo (Inghilterra e America in particolare), invece, il successo della serie è ormai inarrestabile, tanto da essersi portata a casa ben 9 premi Emmy, due Golden Globes e svariati altri riconoscimenti.

Ambientata in un’antica dimora dello Yorhshire (nella realtà Highclere Castle, nell’Hampshire), sul finire dell’Età Edoardiana, Downton Abbey, episodio dopo episodio, si immerge nella vita quotidiana dell’aristocratica famiglia Crawley le cui vicende s’intrecciano a quelle dei domestici a loro servizio. Quando la storia prende il via, nell’aprile del 1912, il Titanic è appena affondato. La notizia turba Lord Grantham (Hugh Bonneville) e la sua famiglia perché nel disastro perde la vita Patrick, il nipote del Conte. In un’epoca in cui le donne non avevano alcun diritto di successione, la morte dell’erede legittimo del titolo, della tenuta, della ricca dote della Contessa Cora (Elizabeth MCGovern), nonché sposo promesso della maggiore delle tre figlie dei Conti di Grantham, mette in discussione il futuro di Downton Abbey. L’eredità infatti è destinata a passare al lontano cugino Matthew (Dan Stevens), un giovane avvocato di sani principi, accolto malamente da tutti e in particolare dalla viziata e capricciosa Lady Mary (Michelle Dockery) che inorridisce al pensiero di unirsi all’ ‘usurpatore’ borghese che, contrariamente allo stile di vita nobile dei Crawley, si guadagna da vivere lavorando. Tra lo sdegno e lo choc di dover passare il testimone a un non aristocratico, arrivano anche a Downton Abbey gli echi di un cambiamento sociale che di lì a poco si concretizzerà drammaticamente nella Prima Guerra Mondiale.

L’impeccabile ricostruzione storica, i dialoghi incalzanti, ricchi di phatos e di humor tipicamente british, la cura raffinata nei costumi e nella scenografia e un cast di attori straordinari fanno di Downton Abbey un prodotto elegante e avvincente. Un esempio calzante di fiction colta che riesce ad incontrare il gusto popolare, eccellente tanto a livello di messa in scena quanto a livello narrativo. La formula vincente è senza dubbio il racconto di uno spaccato della società britannica attraverso le interazioni tra due mondi contrapposti: quello altolocato e ovattato dei saloni nobiliari e quello umile e brulicante dei piani bassi, dove vive la servitù, animata da altrettante tensioni, rivalità, e ambizioni. Due diversi microcosmi, upper class e working class, che finiscono con l’essere vicini più di quanto si possa immaginare. Tutto ciò che accade nella grande casa si ripercuote sul personale di servizio, e viceversa, in una simbiosi caratterizzata da un inconsueto rapporto padrone-servo fatto di rispetto reciproco. Per questi aristocratici i loro servants sono molto di più che persone a cui relegare il compito di tenere in ordine la casa o servire la cena in maniera impeccabile. La servitù partecipa alle sofferenze e alle gioie della famiglia, custodisce segreti inconfessabili ed è complice dei loro intrighi. In certi casi, divengono molto di più.

Come nel sentimento clandestino e contrastato tra l’autista irlandese Branson e la ribelle Lady Sibyl. La loro relazione contrastata tiene banco per tutta laseconda stagione, in cui l’impatto del conflitto si ripercuote inevitabilmente sulla vita di tutti i personaggi, sia nobili che domestici, portando a Downton Abbey lutti e novità che destabilizzano l’equilibrio della tenuta. Nella terza stagione (otto puntate più uno speciale natalizio ambientate in 18 mesi, a partire dal 1920) invece, promette scintille l’ingresso come guest-star dell’esuberante Shirley McLaine nel ruolo di Martha Levinson, la madre di Cora, che ritroveremo stabilmente anche nella quarta stagione. Giunta a Downton Abbey dall’America, la liberale e sfacciata Martha è il perfetto alter ego dell’algida e conservatrice Lady Violet (la grande Maggie Smith), squisitamente snob e classista e sempre pronta a conquistare il pubblico con le sue battute taglienti e sarcastiche. I battibecchi tra le due ci riserveranno scene sicuramente memorabili. Senza scendere troppo nei dettagli, possiamo dirvi che una coppia di protagonisti si sposerà e che per due bambini che nasceranno altrettanto due protagonisti moriranno. Come consiglia Fellowes: “Tenete a portata di mano i kleenex”, ne avrete bisogno.

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Enrica Raia