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Categorie: News

Giovani senza speranza. È ora di togliere ai padri per dare ai figli

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Paolo Ribichini

Inutile girarci intorno. Il problema più grosso per l’Italia è la devastante disoccupazione giovanile. Un dramma inarrestabile, visti i continui dati negativi che l’Istat continua a pubblicare. Ora il 41% degli under 25 è senza un impiego. Un milione di under 30 è disoccupato. Una generazione bruciata. Una generazione senza futuro.

Cresce la differenza tra giovani e vecchi. Secondo i dati di Bankitalia, rielaborati da LaVoce.info, negli ultimi vent’anni vi è stata una decisa redistribuzione della ricchezza dalle giovani generazioni verso quelle più anziane. Coloro che oggi hanno tra i 55 e i 64 anni, rispetto a coloro che avevano la stessa età nel 1991, hanno un reddito più alto del 30%, chi oggi ha meno di 35 anni, invece, rispetto ai giovani del 1991, ha un reddito inferiore del 5%.

No all’elemosina intergenerazionale. Non serve ovviamente l’elemosina intergenerazionale. Già questo avviene quotidianamente. I padri oggi mantengono i figli, a casa e fuori casa, fino a tarda età. C’è poi chi dai genitori è dovuto tornare perché ha perso il lavoro e la cassa integrazione oramai è un’ancora di salvezza solo per pochi. Così i giovani di oggi vivono una fase di minore età prolungata a tempo indeterminato. Addio matrimoni, convivenze. Addio figli. Serve dare speranza.

Un paese senza prospettive. Il lavoro non c’è. Anche se poi sono tanti coloro che accusano i giovani di non voler accettare lavori umili. È vero che ci sono posti di lavoro che nessuno vuole. Ma sono solo una piccola briciola che galleggia su un oceano di disoccupazione. Ci sono lavori umili che i laureati non accettano. Come biasimarli? Gli è stato prospettato un futuro di successi, hanno speso anni della propria vita in formazione. E oggi si dovrebbero mettere a fare i panettieri o gli artigiani? Dicono che accettare lavori umili oggi è una necessità perché i laureati sono troppi. Ma in Italia chi ha una laurea rappresenta solo il 19% della popolazione. Una percentuale decisamente più bassa rispetto agli altri paesi OCSE, dove si raggiunge anche il 40%. Ma che futuro può avere una nazione che è in grado di offrire solo lavori dove non è richiesta la specializzazione?

L’Italia ce la può fare. Niente, però, è perduto. Prima di tutto va incentivata l’occupazione giovanile a tutti i livelli. Su questo si può agire sulla leva fiscale. L’Italia è uno dei paesi al mondo con il più alto costo del lavoro e salari tra i più bassi dell’area Euro. Si potrebbe azzerare l’Irpef sulle nuove assunzioni under 35, per i primi due anni, e ridurla per tutti gli altri lavoratori, in modo da dare respiro alle aziende e qualche soldi in più ai lavoratori. Ma in questa legge di stabilità, ai lavoratori non rimangono che le briciole, mentre si affronta il non-problema dell’Imu, che interessa soprattutto i pensionati e chi una casa già ce l’ha.
Poi, va eliminato il dualismo del mercato del lavoro che consente agli anziani protezione dai licenziamenti e ai giovani solo e soltanto precarietà. Quest’ultimi più facilmente possono perdere il lavoro o essere licenziati. Eppure sono loro i meno tutelati dal sistema di welfare. Niente cassa integrazione e raramente qualche piccolo sussidio di disoccupazione.

Colpire chi oggi la crisi non la sente. La cura c’è ma non si somministra. Il motivo è semplice: bisogna cambiare radicalmente lo status quo. E per farlo bisogna – viste le scarse risorse – scontentare qualcuno. Quel qualcuno che garantisce la sopravvivenza a questo sistema politico. Gli stessi padri che oggi fanno la carità ai propri figli.

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Paolo Ribichini