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Categorie: Economia News

Seconda rata Imu, la beffa del governo ai comuni

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Domenico Cacciapuoti

Tra le più bizzarre barzellette raccontate in questi anni da Berlusconi, una è davvero simpatica. Il cavaliere ricorda che anni addietro il più piccolo dei suoi figli, agli amichetti di scuola, diceva che il papà di mestiere aggiustava le televisioni. Più in là con gli anni, nel periodo della discesa in campo nel ’93, lo stesso Berlusconi raccontò che al figlio disse di aver smesso di aggiustare televisioni per aggiustare l’Italia. Ed è finita come tutti sanno: con l’Italia nella più buia delle recessioni, con spread a livelli altissimi e pressione fiscale alle stelle.

Di raccontatori di barzellette e di facili profeti ne abbiamo avuti anche dopo il cavalier decadente, di quelli che dai palchi o dagli scranni hanno prospettato periodi di fausta provvidenza e finalmente tasche piene per le tasse basse. È finita, come nel caso di Monti, di venire subito cacciati, non prima, però, di averne combinati di disastri. E ora, anche per l’ultimo in ordine di tempo che si è presentato agli italiani come vaccino per la crisi, come cura contro l’oppressione fiscale, cioè il premier Enrico Letta, è arrivato il tempo del redde rationem.

Infatti, pochi fra i proverbi consacrati dall’uso sono così veritieri come quello che vuole che tutti i nodi prima o poi vengano al pettine e, a conferma, ecco che anche per il nodo della seconda rata dell’IMU, rimasto nel limbo delle cose indefinite e atteso con tremore come la stangata di fine anno, sta arrivando il momento cruciale della decisione e sembra che alla fine le cose si mettano male, molto male per le tasche degli italiani.

Il 27 novembre il ministro dell’Economia, Saccomanni, aveva spiegato: “La cancellazione della seconda rata dell’Imu produce un mancato gettito di 2,15 miliardi e riguarda anche gli immobili agricoli strumentali, mentre solo una riduzione è prevista per i terreni coltivati. Le coperture saranno totalmente a carico del sistema bancario, senza aumento delle accise: un terzo viene coperto dagli anticipi sulle imposizioni del risparmio amministrato e due terzi da anticipi Ires e Irap, che sono anticipi a fronte di un aumento delle aliquote del 2014. In particolare: 650 milioni circa derivano dall’anticipo, a carico degli intermediari finanziari, sulle ritenute relative al risparmio amministrato; 1,5 miliardi vengono dall’aumento al 130% dell’acconto Ires e Irap dovuto per il 2013 dalle società del settore finanziario e assicurativo. Per questi stessi soggetti l’aliquota Ires viene elevata per il solo 2013 dal 27,5% al 36%”.

Tuttavia, a carico del sistema bancario c’è ben poco, perché quando Saccomanni parla di anticipi sulle imposizioni del risparmio amministrato significa che la banca anticipa somme allo Stato per le quali si rivarrà poi sui risparmiatori. Stesso discorso per gli anticipi su Ires e Irap, per i quali le banche si rivarranno, invece, sulle imprese e indirettamente sui lavoratori.

Ma a far discutere di più è la norma che impone ai comuni, che hanno deliberato per l’anno 2013 aliquote superiori a quella standard (4 per mille), di fare pagare metà della maggiorazione ai contribuenti a metà gennaio 2014, mentre l’altra metà circa verrà ristorata dallo Stato. Secondo i calcoli del Servizio Politiche Territoriali della Uil, il conto a Milano è di 73 euro (nel 2012, però, si sono pagati 292 euro medi); a Bologna di 40 euro medi (321 euro nel 2012); a Napoli di 38 euro medi (379 euro nel 2012); a Genova di 31 euro medi (72 euro nel 2012); ad Ancona di 21 euro medi (341 euro nel 2012); a Verona di 31 euro medi (281 euro nel 2012). Detta in soldoni, si avrà un risparmio rispetto al 2012, ma la tassa sulla casa si pagherà comunque. Nello specifico, a oggi si tratta di 3,4 milioni di prime case, che si aggiungono ai 44.785 ‘nababbi’ possessori di una prima casa di lusso (A/1, A/8 e A/9), i quali verseranno il saldo il 16 dicembre. Quindi, tra saldo Imu e Tares e possibile acconto Iuc tra il 16 dicembre e il 16 gennaio si profila un vero ingorgo fiscale per le tasse sulla casa.

L’ANCI, cioè l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia, ha fatto sapere tramite il suo presidente, Piero Fassino, che: “Il Governo deve fare rapidamente chiarezza sulla seconda rata dell’Imu 2013 e onorare gli impegni assunti con i contribuenti e i Comuni italiani. I Sindaci hanno dimostrato responsabilità e spirito propositivo, ma non si può abusare della loro pazienza e tanto meno si può abusare della pazienza dei cittadini”. La rivolta dei sindaci, per una volta uniti da Milano a Catania, si spiega con il nuovo sistema fiscale che si sta delineando in Italia, dove gli Enti sono, in sostanza, tenuti ad autofinanziarsi. Per decenni, lo Stato esigeva i tributi e destinava risorse agli enti locali; con la crisi economica e politica, che ha reso i politici sempre più impopolari agli occhi dei cittadini-elettori, si è optato per la soluzione opposta: i Comuni fungono da esattori, stornano parte delle entrate tributarie allo Stato, mentre i nostri parlamentari fanno di tutto per defilarsi dalla questione delle tasse.

Gli italiani, ormai, sono abituati ad ascoltare sindaci che lamentano minori stanziamenti statali, ma nemmeno in una realtà kafkiana come quella che loro malgrado stanno vivendo, si sarebbero aspettati di ascoltare sindaci che protestano per il fatto che venga ad essere scaricata sui cittadini l’impossibilità da parte del Governo di mantenere un impegno con l’Anci. Per l’Italia è notte fonda, non serve l’aspirina, ma la cura da cavallo.

Non si può professare giustizia fiscale se non si corregge il sistema che decisamente non va. La scelta del governo di restituire ai comuni solo il 50% dell’Imu incassata nel 2013, dopo aver permesso loro di far cassa con l’aumento delle aliquote delle addizionali, è una follia, che, in qualsiasi paese normale, porterebbe allo “scontro istituzionale” tra governo e comuni. Qui, lo Stato e i comuni giocano al poliziotto buono e quello cattivo, scambiandosi, di volta in volta, i ruoli in base alla convenienza del momento. L’unico a non cambiare mai è chi interpreta la parte del detenuto “mazziato”, che è sempre e comunque il cittadino.

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Domenico Cacciapuoti