Non ci sono giudici. E’ questa la paradossale situazione che sta vivendo il Tribunale di Vibo Valentia. Così, ora, uno dei processi più importanti e delicati in corso di celebrazione, quello legato alla cosiddetta “operazione Poison”, rischia la prescrizione.
Ieri mattina il Tribunale vibonese, presieduto da un giudice non togato, ossia che non svolge la sua attività a titolo professionale, è stato costretto a rinviare al 13 ottobre del 2014 il processo “Poison”, che vede coinvolte dodici persone con l’accusa di disastro ambientale per la gestione abusiva di 135 mila tonnellate di rifiuti tossici e pericolosi, provenienti per lo più dalla centrale termoelettrica di Brindisi e smaltiti illegalmente dal maggio del 2000 a settembre 2007 nella discarica degli impianti della Fornace tranquilla srl a San Calogero, nel Vibonese.
Il Tribunale non può al momento trattare un processo che deve essere necessariamente presieduto da un giudice togato e ha perciò deciso un rinvio dell’udienza al prossimo anno, con il rischio non troppo remoto che tutto finisca in prescrizione. Sarebbero di circa 18 milioni di euro il frutto del traffico di rifiuti al centro del processo, poiché tanto sarebbe costato il regolare smaltimento alle centrali Enel di Brindisi, Priolo Gargallo e Termini Imerese.
Quella del Tribunale di Vibo sembra tra l’altro la normalità in Calabria, tanto da portare negli ultimi giorni anche ad una agitazione sindacale dei lavoratori giudiziari a Reggio Calabria, un’altra città ad alto indice di criminalità che non dovrebbe consentire tali lacune.
Adesso, l’unica speranza per le associazioni che si erano costituite parte civile, tra cui il WWF, resta il fatto che almeno il reato di disastro ambientale, tra quelli contestati, potrebbe rimanere in piedi anche dopo 2014.
La carenza cronica di giudici, che sembra non essere un caso isolato nel quadro giudiziario italiano, rischia comunque di far finire in un nulla di fatto una delle più importanti inchieste in materia ambientale per il territorio vibonese. Condotta dalla Procura e dalla guardia di finanza tra il 2009 e il 2010, l’operazione “Poison” aveva portato alla scoperta di una ex fabbrica di laterizi, la “Fornace tranquilla” appunto, apparentemente abbandonata dove, in realtà, su un’area di 150 mila metri quadrati, venivano smaltite illegalmente tonnellate e tonnellate di rifiuti pericolosi, per lo più ceneri e fanghi industriali provenienti dalle centrale a carbone Enel “Federico II” di Brindisi.
Secondo quanto riportato dall’accusa, i rifiuti tossici venivano classificati come non pericolosi e sulla carta erano destinati al reimpiego nel ciclo produttivo, salvo poi essere interrati a ridosso degli agrumeti circostanti alla discarica. Nel sito in questione sarebbero stati stoccati metalli pesanti, solfuri, cloruri, fluoruri, nichel, selenio, stagno e vanadio, tutti elementi che in determinate combinazioni possono generare composti pericolosi per l’uomo e altamente cancerogeni. Il consulente tecnico dell’accusa non ha neanche escluso “la concreta e reale possibilità che i componenti pericolosi presenti in abbondanza nel sito potessero essere diffusi nell’ambiente circostante”. E in effetti, in seguito all’operazione della guardia di finanza, era stata subito disposta la distruzione di tutti i prodotti agricoli coltivati nell’area interessata.
L’ultima udienza si era tenuta il 24 giugno ed era già slittata per un difetto di notifica, mentre il gup disponeva il rinvio a giudizio per i dodici imputati, tra cui compaiono anche i nomi di alcuni dei responsabili della centrale Enel.
L’Italia ha appreso quanto possa valere il traffico illecito di rifiuti attraverso il caso della Terra dei Fuochi e dalle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone recentemente desecretate. Stando a quella testimonianza l’occultamento illegale di materiali tossici riguarderebbe tutto il Mezzogiorno, dalla Campania alla Puglia, passando per la Calabria fino alla Sicilia, e dal processo di Vibo Valentia potrebbero emergere nuove connessioni a diversi livelli tra realtà mafiose ed imprenditoriali.
Ma se davvero il processo non dovesse aver luogo per la mancanza di un giudice legittimato a presiedere, questo suonerebbe come un ennesimo segnale dell’assenza dello Stato in questioni che riguardano da vicino la salute dei cittadini oltre che la giustizia.