Precari da giovani, poveri, anzi poverissimi, da anziani. Un’indagine Ocse rivela che i precari di oggi sono più vulnerabili al rischio di povertà durante la vecchiaia. Come se una vita lavorativa da precario non fosse già abbastanza ad affossare la speranza e le aspettative di milioni di lavoratori.
L’indagine in questione si chiama “Pensions at a Glance” e fotografa un paese in cui i salari sono inferiori alla media e in cui l’età pensionabile di uomini e donne resta ancora ancora molto bassa, nonostante le riforme che in questi anni si sono succedute, per ultima la riforma Fornero. In media in Italia nel 2012 un lavoratore ha percepito un reddito di 28.900€, pari a 38.100 dollari, rispetto ad una media di 42.700 dollari dei paesi Ocse. I giovani sono quelli che rischiano di più per il loro futuro. Secondo il rapporto, chi entra oggi nel mercato del lavoro rischia di ritrovarsi una pensione più bassa rispetto agli standard attuali, e “i lavoratori con carriere intermittenti, lavori precari e mal retribuiti sono più vulnerabili al rischio di povertà”.
Una soluzione potrebbe essere quella di aumentare l’età effettiva in cui i lavoratori lasciano il mercato del lavoro. Cosa che in Italia, in parte, è stata già fatta con la riforma Fornero. Ma non basta, “lavorare più a lungo potrebbe aiutare a compensare parte delle riduzioni, ma, in generale, ogni anno di contributi produce benefici inferiori rispetto al periodo precedente tali riforme”, è quanto asserisce una nota del rapporto.
Per quanto riguarda i contributi previdenziali, l’Italia mantiene una posizione di vertice rispetto alla media dei paese dell’area Ocse. Nel 2012 sono stati pari al 33% del totale lordo della retribuzione, pari al 9% del Pil e al 21,1% del totale delle tasse, rispetto ad una media del 19,6%. In Italia i contributi sono a carico per 9,2 punti del lavoratore e per 23,8 del datore di lavoro.
L’indagine mette in risalto anche il dato riguardante la spesa previdenziale, e il sistema italiano sembrerebbe uno dei più costosi tra i paesi membri. “Con una spesa pubblica per pensioni di vecchiaia e superstiti pari a 15.4% del reddito nazionale (rispetto a una media Ocse del 7,8 %), l’Italia aveva nel 2009 il sistema pensionistico più costoso”. Tuttavia, con la riforma Fornero la spesa previdenziale dovrebbe diminuire anche per effetto dell’innalzamento dell’età pensionabile.
Su quest’ultimo dato l’Ocse ha per certi aspetti promosso la riforma, perchè garantirà la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico e perché stabilizzerà la spesa sul medio periodo, prevedendo solo lievi variazioni.
Ma aumentare l’età pensionabile non basta per “garantire che le persone rimangano sul mercato del lavoro, soprattutto se esistono meccanismi che consentono ai lavoratori di lasciare il mercato del lavoro in anticipo”, è quanto si apprende dal rapporto, forse anche per evidenziare eventuali problemi nelle procedure di ingresso e uscita nel mercato del lavoro.
Infine, l’indagine sottolinea l’importanza di politiche che promuovano l’occupazione e l’occupabilità e per “migliorare la capacità degli individui ad avere carriere più lunghe”.