“E dire che allora…”. Questa è la prima fase del surreale dialogo iniziale del film Slevin: questo è il secondo pensiero di un appassionato di basket che legge della sesta vittoria di fila dell’Orlandina Basket in LegaDue allenata da tale Gianmarco Pozzecco. Si, il secondo pensiero che segue immediatamente al primo, ovvero “Ma davvero il Poz è diventato allenatore?”.
Nella pallacanestro come nel calcio i grandi giocatori trovano inusitate difficoltà ad allenare: chi è stato uno dei migliori, difficilmente riesce ad adattarsi allo scomodo ruolo di gestore di un gruppo. Non mancano sapienza tecnica e tattica o le arti del mestiere: molto spesso è dura accettare che qualche giocatore non arrivi a capire quello che per l’allenatore ex campione risulti ovvio, scontato, quasi banale, in realtà estremamente difficile.
Solo chi è stato un fenomeno può cogliere certe sfumature del gioco, e trasformarle in un tiro o in un passaggio: Pozzecco è stato un campione del basket, ma ha ovviato al problema, a modo suo, secondo lo spirito da puro istrione che lo ha reso uno degli idoli indiscussi della pallacanestro italiana. Un “non” allenatore, perché così piace definirsi al Poz.
E dire che allora…nessuno avrebbe mai pensato che Pozzecco potesse vestire giacca e cravatta e sedersi su una panchina: panni stretti, non affini a quello che per anni è stato il miglior play italiano, capace di incantare platee intere con il suo gioco geniale, fatto di passaggi immaginifici e tiri fuori da qualsiasi lavagna. Niente di nuovo: chi segue il basket sa come la Mosca Atomica abbia segnato un’era del gioco in Italia. Varese, Fortitudo, la Nazionale, la stessa Capo d’Orlando che adesso guida, hanno avuto prova diretta di cosa volesse dire avere un simile talento a disposizione.
Incubo per gli avversari, croce e delizia per i suoi allenatori, non sempre ben disposti ad assecondare la sua vena creativa: rapporti non sempre idilliaci, a tratti, diciamolo pure, tumultuosi, ed è forse questo il motivo che rende così difficile accettare che lui sia tornato nel mondo del basket proprio in quel ruolo. Smessi calzoncini e canotte, Pozzecco è rimasto sempre nell’orbita della palla a spicchi: nel ruolo di voce tecnica del team Nba di Sky, leggendario un suo fuori onda in cui faceva velatamente capire di aver apprezzato le forme sinuose di una spettatrice inquadrata dalla regia americana.
Divertente, simpatico, mai snob, un personaggio unico che non poteva non essere un allenatore fuori dagli schemi. Più che un coach si sente un padre per i giocatori che allena: una figura intima sempre pronta ad aiutare i suoi, a difenderli. Il caso di Alex Young dello scorso anno, positivo alla cannabis e difeso dal Poz, che cercava di evidenziare il lato umano dell’errore, senza che si trascendesse in giudizi troppo pesanti sul giovane americano, è solo uno dei tanti esempi che possono essere chiamati in causa per descrivere quale sia il rapporto viscerale con i suoi ragazzi.
La sua prima vera stagione da allenatore a Capo d’Orlando (lo scorso anno esordì subentrando a Bernardi) non è partita benissimo: tre sconfitte in tre giornate, la minaccia di abbandonare la squadra laddove fosse intervenuta una squalifica dopo l’espulsione di Casale, l’intervento del presidente Sindoni per far tornare la quiete. Da quel momento in poi la scossa.
L’arrivo di Mays, il talento di Soragna, Nicevic e Basile che rifiorisce: Pozzecco alla guida della macchina Orlandina, i cui ingranaggi riprendono a funzionare alla perfezione, raggiungendo con il successo di ieri contro Napoli, la sesta W consecutiva della stagione. Lui, il Poz, ha cercato sempre di ridimensionare il suo ruolo, con tweet d’autore come quello dopo la vittoria all’ultimo secondo su Verona
Leggo. Coach Poz disegna sapientemente la rimessa a 2 sec dalla fine. Stronzate. Palla a Baso tiro Ignorante e tutti a casa! Grazie Gianluca
— gianmarco pozzecco (@theoriginalpoz) 4 Novembre 2013
ma che la sua mano si senta sui risultati della squadra è un dato fuor di ogni dubbio, ed è solo l’inizio di una lunga carriera.
Ora che ha intrapreso La vie en rose sulla panchina, risuonano in testa le parole di Non, je ne regrette rien di Edith Piaf, manifesto simbolico per un personaggio come Pozzecco che dalla vita cestistica ha imparato tante lezioni, anche amare, ma che di sicuro non rimpiange nulla di quanto fatto.
E dire che allora…nessuno lo avrebbe detto, ma il Poz è diventato un grande allenatore. Però non chiamatelo coach…
[foto: www.orlandinabasket.it]