Sono 14 i morti ieri a Bengasi, Libia. Secondo quanto riportano funzionari del ministero della Sanità, a detta della tv locale Nabaa, sarebbe alto anche il numero dei feriti ovvero 51 in seguito ai violenti scontri avvenuti fra i soldati filo-governativi e i miliziani di Ansar al-Sharia vicini ad Al Qaeda. Il colonnello Abdullah al-Saiti, governatore militare di Bengasi ha dichiarato lo stato di massima allerta e invitato la popolazione a limitare gli spostamenti quindi a rimanere in casa. Sono anche state sospese le licenze: tutti richiamati alle armi.
Tutto sarebbe nato da un attacco improvviso subito dalle truppe delle forze speciali in perlustrazione nei dintorni del quartier generale dei jihadisti: all’assedio avrebbero risposto col fuoco e da qui sarebbe iniziata la guerriglia. Una situazione ancora incandescente quella che vive la Libia che si protrae da diverse settimane e che è culminata in una violenza esasperata, la prima di queste dimensioni dalla morte di Muammar Gheddafi. Proprio due giorni fa a Londra si erano incontrati il segretario di Stato USA John Kerry e il premier libico Ali Zeidan per discutere riguardo alla stabilità del Paese.
L’interesse americano deriva non solo dalle questioni economiche ma anche diplomatiche in quanto nel 2011 proprio il gruppo jihadista che ieri ha preso parte alla guerriglia, fu responsabile dell’uccisione dell’ambasciatore americano in Libano, Chris Steven, deceduto in seguito all’attacco del consolato. Anche l’Italia ha un interesse prioritario in Libia, interesse di natura energetica. La Libia è il maggior esportatore di gas per l’Italia e nonostante le rassicurazioni dell’amministratore delegato di Eni, di certo queste continue tensioni e guerriglie non fanno dormire sonni tranquilli gli italiani.
Sul fronte dell’immigrazione invece, il problema è più imminente e urgente. Già il 18 novembre il ministro degli Esteri Emma Bonino aveva lanciato l’allarme recepito da tutti i ministri degli esteri presenti a Bruxelles: “La questione sicurezza si pone sempre di più e noi abbiamo molte informazioni su questo. La Libia si conferma un Paese sull’orlo del fallimento, in uno stato di grande fragilità, una specie di canale aperto su cui convergono tutta una serie di traffici, di esseri umani, ma non solo“. Il pericolo è la penetrazione di cellule jigadiste fra gli immigrati.
Dopo il summit di Londra John Kerry ha dichiarato: “Il Regno Unito, gli Stati Uniti e i nostri amici vogliono aiutare la Libia per darle la stabilità di cui ha bisogno“. Restano da chiarire le modalità e le tempistiche.