Il ciclismo ai tempi della crisi è anche squadre che chiudono, posti di lavoro che spariscono ed enorme difficoltà a ricollocarsi. Siamo arrivati a contare 54 professionisti italiani che a metà novembre – tempo in cui è ora già di riprendere gli allenamenti verso il 2014 – non hanno ancora un contratto per la prossima stagione. Quasi un terzo del totale (168). Non poco.
Il ciclismo italiano vive una pericolosa carestia e i corridori hanno fame, di contratti. C’è crisi. Pochi sponsor per un pugno di soldi. Ci sono le tasse, le spese vive, gli stipendi. C’è la politica del risultato, se non vai non hai. Purtroppo c’è crisi. Mettersi a disposizione, aiutare e tirare per contratto o vocazione, in poche parole fare bene il proprio lavoro, con onestà e lealtà. Ci dispiace, ma c’è la crisi. Non si capisce cosa conviene fare perché … c’è la crisi. In un’Italia che viaggia a singhiozzo i conti non tornano anche nello sport.
Decine di professionisti se ne vanno con l’amaro in bocca. Sono i ragazzi che hanno sacrificato tutto per realizzare il sogno di una vita in bicicletta, la loro passione. Anni spesi a mangiare pasta in bianco, prosciutto crudo, grana e mozzarella, al massimo una fetta di crostata. Anche questo è correre, pedalare, rinunciare. Per alcuni vuol dire amare o sposare, uno sport, una filosofia perché il ciclismo ti entra dentro, ti prende e ti porta via. A volte rapisce. Bisogna sapersi gestire senza calcare troppo la mano altrimenti l’ambizione ti scavalca senza contare quelli che la cavalcano: faccendieri dietro l’angolo ad aspettare con le mani sottobanco.
Stupisce il fatto che attualmente restino in “panchina” qualcosa come 67 vittorie, quelle che hanno collezionato in carriera Francesco Chicchi (30) e Danilo Napolitano (37). Il toscano, classe 1980, ha corso con la Fantini di Scinto nel 2013 e non è escluso che possa far parte del progetto del d.s. toscano (Yellow Fluo) anche nella prossima stagione. Iridato under 23 a Zolder 2002, ha sfiorato la Parigi-Tours nel 2007 (2° alle spalle di Petacchi), senza mai riuscire a firmare un successo di tappa in un grande giro (un centro alla Tirreno-Adriatico nel 2008).
Il siciliano Napolitano nel 2006 aveva colto un interessante quinto posto alla Milano-Sanremo, riuscendo a firmare l’anno successivo al Giro d’Italia (tappa di Lido di Camaiore) l’affermazione più prestigiosa della carriera. Classe 1981, l’ultima stagione – condizionata dagli infortuni – l’ha passata alla belga Accent-Jobs: una vittoria. La voglia di correre e la convinzione di essere ancora competitivo a discreti livelli Napolitano le ha: ma per ora è costretto suo malgrado ad attendere.
Poi c’è il laziale Alessandro Proni, ottimo gregario e spesso in fuga anche all’ultimo Giro d’Italia: neanche per lui c’è un posto, nell’ormai sua ex squadra, la Vini Fantini diretta da Luca Scinto. Il 31enne di Lariano, in provincia di Roma, è uno di quei ragazzi costretti a lasciare il ciclismo con l’amaro in bocca. Mancano i soldi, i risultati dove sono, non riusciamo più a tirare avanti. Così ha scritto il corridore laziale pochi giorni fa su Twitter: “E tutto quello che resta, sono i sogni incollati fino dentro le ossa. Abbiamo appeso le ali, viaggiamo dentro ai ricordi, eppure siamo da soli”. Proni che ha donato anche il proprio midollo alla sorella, nel tentativo, risultato poi vano, di salvarle la vita.
Esempio, merito, ricompensa, sostegno, etica? Dispiace, ma non sono parole scritte sul vocabolario di alcuni. Purtroppo è così quando c’è la crisi e non si capisce bene cosa sia in crisi.