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Categorie: Ambiente News

Paradosso in Campania tra raccolta differenziata ed emergenza rifiuti

Published by
Domenico Cacciapuoti

Raccontare come stanno realmente le cose, aiuta a non subirle. I napoletani, che nel 1832 inventarono la raccolta differenziata, per anni sono stati accusati di non volerla realizzare, di essere indefferenti al problema ambientale. In realtà, quello della differenziata è un tema che non è interessato mai a nessuno, perché politica, imprenditoria e camorra con il semplice e poco costoso sistema dello sversamento nelle discariche avevano trovato un modo altrettanto semplice di arricchirsi.

Nelle discariche facevano confluire non solo il pattume cittadino, ma anche quello illegale e radioattivo proveniente da ogni parte di Italia e di Europa. Così facendo, però, le discariche si sono riempite velocemente, mentre la magistratura le metteva sotto sequestro. Le città, di conseguenza, si riempivano di spazzatura e la camorra, per non rinunciare a questo business, è costretta a trovare altre forme alternative per smaltire i rifiuti illegali.

Da qui l’idea di utilizzare terreni, cave per seppellirli o, peggio, dargli fuoco per smaltirli. Ed ecco il primo colpo di teatro: il problema erano i comuni in provincia di Napoli e Caserta, che non obbligavano i cittadini a fare la raccolta differenziata. Ma accade l’inaspettato: alcuni comuni, in pochi anni, raggiungono delle percentuali di raccolta differenziata che nulla hanno da invidiare a quelli del Nord. L’emergenza rifiuti continuava, però, a persistere.

Per giustificarla, certo la politica non poteva dire che dal 1998 al 2008 per “risolvere” le criticità aveva speso 780 milioni di euro solo in consulenze su un totale di 8 miliardi di euro. Una finanziaria. In pochi e inascoltati denunciavano che sempre in quel decennio la camorra gestiva un giro di rifiuti illegali, che se fosse stato possibile impilarlo si sarebbe creata una montagna alta quanto l’Everest.

Da qui il secondo colpo di teatro di questa vicenda: non si risolve l’emergenza, perché manca in Campania un termovalorizzatore. In poco tempo viene costruito ad Acerra, un mostro che diffonde diossina, per di più inutile, perché le ecoballe non possono essere incenerite, in quanto semplici pacchetti contenenti qualsiasi tipo di pattume.

E infatti, le strade continuavano ad essere piene di spazzatura, continuavano i roghi tossici e gli sversamenti illegali dei rifiuti pericolosi. Ma soprattutto la gente continuava a morire: nell’ultimo decennio si è avuto un incremento del 300% delle patologie tumorali, soprattutto in campagna, dove l’ambiente dovrebbe essere teoricamente più salubre. Grazie all’opera meritoria di Don Maurizio Patriciello, dopo anni di silenzio, il problema è balzato all’attenzione dei media.

E qui si sarebbe voluto ideare un’altra sceneggiata: bisogna costruire un nuovo termovalorizzatore, stavolta, a Giugliano. Ma è davvero troppo, la gente ha aperto ormai gli occhi, ha capito che non c’è la volontà politica di risolvere il problema e scende in piazza, rabbiosa e determinata. L’apice di questa protesta, necessaria e legittima, si è avuta sabato con la manifestazione #fiumeinpiena, che ha coinvolto quasi centomila persone.

Di fronte a numeri così, verrebbe quasi spontaneo ritenere che chi è istituzionalmente chiamato a dare delle risposte a queste problematiche, si guardi bene dal ripetere gli errori del passato. Ma è davvero così? I primi segnali non sembrano andare in questa direzione. Dell’apprezzatissima, a parole, proposta formulata dall’onorevole Capacchione e dal magistrato Cantone di utilizzare i beni confiscati alla camorra, che confluiscono nel Fug, per costruire, ad esempio, un impianto per lo smaltimento dell’amianto anche in Campania non se ne parla più.

Le bonifiche verranno affidate attraverso un tavolo permanente istituito con le Province di Napoli e Caserta alla Sogesid spa, una società statale specializzata in progetti tanto irrealizzabili quanto costosi, che doveva essere soppressa con le misure di spending review, ma che hanno salvato giusto in tempo, svelando ad arte le dichiarazione del pentito Carmine Schiavone. Il patto per la terra dei fuochi proposto ai sindaci di queste terre, teoricamente, finalizzato alla soluzione del problema dei roghi tossici, in realtà è una liberatoria per la Regione da ogni responsabilità passata, presente e futura, che va a ricadere sui Comuni firmatari.

Gli scarsi stanziamenti in termini economici previsti per i 55 comuni destinatari del patto sono serviti come specchietto per le allodole, ma è da darsi per scontato l’inutilità delle soluzioni in esso prospettate. Bisogna definitivamente abbandonare la filosofia di Eduardo in Peppino Girella: è cos’ e nient. Queste parole hanno negato il diritto alla vita agli abitanti di questa terra. Con queste parole che per anni si è tollerato e creduto alle promesse. Dal 16 novembre in poi i campani non sono più cos e nient, ma sono diventati “qualcuno”. Hanno ora il dovere, oltre che il diritto, di formarsi una coscienza da opporre a chi li ha avvelenati per il becero profitto o per la sete di potere.

Published by
Domenico Cacciapuoti