C’è almeno una classifica che l’Italia può vantarsi di dominare. Il nostro paese ha il maggior numero di beni culturali iscritti nella WHL – World Heritage List dell’Unesco. 49 siti, ai quali si aggiungono i 4 associati alla categoria dei beni immateriali: la dieta mediterranea, l’opera dei pupi siciliani, il canto a tenore sardo e l’artigianato del violino a Cremona.
Un grande patrimonio sparso sul territorio italiano che interessa quasi tutte le grandi aree urbane Roma, Genova, Venezia, Firenze, Torino, Milano e Napoli. Molte città di medie dimensioni come Pisa, Siena, Verona, Ferrara, Mantova e un ampio numero di piccoli comuni collocati in contesti di grande pregio artistico o naturalistico, come Assisi, la Costiera Amalfitana, la Val d’Orcia, le Cinque Terre, il Val di Noto.
Una recente indagine condotta da Isnart – Istituto nazionale di ricerche turistiche ha valutato l’attrattività dei territori dove insistono beni iscritti nella WHL dell’Unesco rispetto agli altri. Ne è emerso che l’interesse dei turisti per questi luoghi è superiore alla media, mentre la ricchezza generata sembra essere al di sotto delle potenzialità. Il riconoscimento dell’Unesco, quindi, ha un’influenza positiva sulla visibilità e sull’appeal di una destinazione, ma non si traduce in un’economia altrettanto significativa.
Nei territori interessati si contano circa 23.000 strutture ricettive e all’incirca 710.000 posti letto, pari a circa il 15% del totale dell’offerta esistente in Italia. Nel 2011, 2012 e nel primo semestre di quest’anno, il tasso di occupazione delle camere delle strutture ricettive è stato maggiore a quello registrato nel restante territorio, con poche eccezioni, tutti i mesi. Queste buone performance evidenziano che i beni Unesco sono attrattori reali, in grado di generare domanda turistica anche in mesi di media e bassa stagione. Di fatto, però, quando è ora di mettere mano al portafogli, i turisti spendono circa il 5% in meno, pari a 3 euro in valore assoluto.
Solo in pochi casi il riconoscimento Unesco ha innestato un processo virtuoso che ha portato al rafforzamento dell’offerta, con un aumento del valore proposto ai turisti e della loro conseguente spesa sul territorio. Insomma, tanto talento che non riusciamo a mettere adeguatamente a frutto per lo sviluppo turistico, economico e sostenibile del nostro paese.
Le misure strategiche per invertire questo processo, sempre secondo Isnart, sono almeno due: adottare una strategia di marketing mirata al brand Unesco e sostenere la coesione tra i soggetti pubblici e privati che vi operano.
L’Italia ha il patrimonio artistico e culturale più ricco del mondo, ma non sa valorizzarlo e sfruttarlo. Sarebbe ora di imparare.
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