“Sorge nel cuore del Canavese quel Capo d’Opera, profondo così ne’ fondamenti, che pare minacci il Tartaro; e così alto nelle sue cime, che aspira al Cielo. […] Sono gli Atrii spaziosi Teatri; Son le piazze interminati corsi; Son le Scale monti sopra monti di pietre; Le Sale interi Palagi; Li Pavimenti riflessi d’un Cielo stellato, e un Cielo i Soffitti. Aggiongasi, che nella Qualità di Palagio ha la sicurezza di forte Castello; nella sicurezza dell’amenità di Villa; nell’amenità la Grandezza di Reggia; nella grandezza tale vastità di Mole, che più Reggie incontri unite in una Reggia.”
Nell’orazione funebre pubblicata in occasione del solenne funerale di Filippo d’Agliè l’8 agosto 1667 sono racchiuse la bellezza e la magnificenza di una Residenza Reale che mescola architettura e natura come se l’una fosse emanazione dell’altra.
La storia del Castello ducale di Agliè ha visto duchi, principi e re andare e venire lasciando testimonianza del loro passaggio nella varietà di allestimenti che ancora oggi caratterizzano gli appartamenti e i giardini.
Il nucleo originario del Castello, di cui oggi rimangono pochi ma poderosi resti in muratura, risale al Medioevo, epoca nella quale il casato dei San Martino di Agliè inizia a dominare il Canavese. Fu solamente nella metà del XVII secolo che Amedeo di Castellamonte vi apportò modifiche importanti e un secolo dopo, nel 1763 l’architetto Ignazio Birago di Borgaro diede inizio a un grandioso progetto di riqualificazione e ampliamento per venire incontro alle esigenze dei nuovo padroni di casa: i Savoia. Birago chiamò ad Agliè gli artisti legati alla corte di Torino: lo stuccatore Giuseppe Bolina, i fratelli Filippo e Ignazio Collino per la statuaria della Fontana dei Quattro Fiumi, “la Dora che si getta nel Po”, “l’Orco giovane” e il “vecchio Malone” e i “Tritoni”, in marmo bianco, e Michel Benard che ampliò e rinnovò il parco e il giardino.
Gli anni dell’occupazione napoleonica corrispondono a una fase particolarmente delicata per l’Italia e anche lo splendore del Castello non fu immune dalle conseguenze: la struttura venne in parte adibita a ricovero per poveri e gran parte dei preziosi arredi furono depredati dalla Francia. Solamente la Restaurazione restituì il parco e i giardini ai signori sabaudi e nel 1825 ebbe inizio l’ultimo intervento sugli appartamenti, affidato da Carlo Felice a Michele Borda di Saluzzo, che pensò degli arredi aderenti al nuovo gusto, il cosiddetto impero italiano, e rivestì le pareti con papiers-peints, carte da parati dipinte interamente a mano.
A metà del secolo la residenza alladiese perse la sua funzione di sede estiva della corte per diventare luogo di villeggiature aristocratiche finchè, nel 1939, il Castello di Agliè venne acquistato dallo Stato e adibito a vero e proprio deposito di opere e documenti provenienti da musei e residenze torinesi che rischiavano fi finire in mano tedesca durante il periodo bellico: nelle grandi cucine trovarono un posto sicuro anche alcuni reperti dal Museo Egizio.
Da Castello ducale a museo di se stesso il passo non è stato né semplice né veloce. Aperto al pubblico dopo l’ennesimo intervento di restauro e riallestimento a opera di Umberto Chierici nel secondo dopoguerra, i visitatori ne possono ammirare le oltre trecento stanze rimanendo affascinati da arredi preziosi e curiose collezioni: non solo quadri ma anche importanti reperti archeologici e raccolte ornitologiche e orientali compongono un patrimonio di alto valore artistico.
A catturare maggiormente l’attenzione sono senza dubbio gli esterni immersi in un lussureggiante verde che riempie gli occhi di meraviglia: il giardino all’italiana, e il parco all’inglese progettato da Xavier Kurten tra il 1830 e il 1840 con alberi secolari e grandi serre accessibili solamente dal 1986 dopo complesse bonifiche idrauliche, sono la perfetta sintesi di natura e artificio.
L’isolotto con il reposoir, il lago, l’imbarcadero, i canali, la collinetta delle rovine archeologiche, provenienti dagli scavi voluti dalla Regina Maria Cristina nella tenuta di Tuscolo (Frascati), e poi ancora la lunga serra verde, così chiamata per la presenza del ficus repens che ricopre tappezzandole internamente le pareti, la serra bianca ovvero la Citroneria, la serra della fontana in alabastro con la sua complessa decorazione a trompe-l’oil affrescato con sfondati illusionistici e finti marmi e la splendida Serra Berain, chiamata anche serra azzurra per il colore delle decorazioni naturalistiche su fondo avorio rosato, presumibilmente sfruttata come giardino d’inverno per la posizione.
Tutto contribuisce ad avvolgere il luogo in un’atmosfera magica, sospesa tra il nobile passato e il presente tramestio dei visitatori che colmano i loro sguardi di quella inestimabile bellezza artistica che ha permesso al Castello ducale di Agliè di entrare a far parte dal patrimonio dell’UNESCO.
Photo credits:[castellodiaglie.it]