Novità sul disastro della Costa Concordia emergono durante il processo che si tiene a Grosseto. La denuncia del capo elettricista della nave, Antonio Muscas, è forte e chiara: “Il generatore di emergenza della Costa Concordia non funzionò, usammo un cacciavite per tenere acceso l’interruttore e farlo ripartire. Ci riuscimmo tre volte, in questo modo lo riattivammo per alcuni minuti“.
Ieri hanno preso la parola diversi tecnici che lavoravano sulla nave e che hanno iniziato a fornire particolari interessanti sulle modalità delle operazioni di salvataggio, che si vanno ad aggiungere alle registrazioni della scatola nera.
Sono le 21:51, cioè sei minuti dopo l’impatto fatale all’isola del Giglio per la Concordia, quando il comandante Francesco Schettino, dopo aver chiesto al direttore di macchina Giuseppe Pilon di descrivere la situazione della sala macchine, arriva a una conclusione quasi sussurrata ma consapevole: “E allora stiamo andando a fondo praticamente? Non l’ho capito…” e Pilon gli risponde “Sì, sta l’acqua fino all’officina“. Da queste parole la conferma del ritardo nell’allarme, perché sono i minuti e i secondi che vengono contati in aula. Anche le altre testimonianze vertono sui minuti: il tempo speso per avviare il piano di evacuazione della nave, l’inizio dei soccorsi e delle richieste alle capitanerie di porto.
Ieri è però emerso un elemento nuovo e inquietante che solleva pesanti dubbi sulla responsabilità di Schettino o quanto meno su una parte di colpa, quella più grave probabilmente. La denuncia del capo elettricista Antonio Muscas, getterebbe dubbi anche sullo stato di sicurezza della nave. Eppure il 9 gennaio, tre giorni prima, a Barcellona fu fatto un test e il generatore era entrato in funzione. Le accuse di malfunzionamento sono rivolte anche al motore andato in surriscaldamento. Pronta la replica di Costa Crociere spa tramite l’avvocato Marco De Luca: “Con un urto di questo genere e una lesione della nave di questo genere è ovvio che una parte significativa degli impianti non funzionasse“.
Le nuove rivelazioni non significano che l’ex comandante Schettino possa dormire sonni tranquilli perché le accuse rimangono pesanti e lo dimostrano anche i testimoni. Flavio Spadavecchia, il responsabile dei sistemi informatici della Concordia, ha dichiarato con fermezza che il comandante non gli ordinò di mandare nessun pan pan, cioè nessun segnale di nave in difficoltà: “Non ho avuto ordini dal comandante Schettino. Io chiesi se inviarlo, e Schettino mi disse di no. Lo chiesi almeno una volta, forse due. Mi avvicinai al ponte di comando ma il comandante fece cenno di no, se non erro mentre era al telefono. […] Quando la capitaneria chiese se eravamo in distress, allora Schettino disse di inviare il messaggio di distress“.
“Qui comandante è tutto perso“, continuava a ripetere Pilon alle ripetute richieste di Schettino circa lo stato dei motori. L’acqua ormai aveva invaso tutto. Eppure il comandante non prese la decisione di dare l’allarme, quella decisione che ora è diventata il fulcro dell’inchiesta. Gli avvocati difensori, in primis Donato Laino ribadiscono: “Lanciare l’abbandono nave sarebbe stata una decisione irreversibile ecco perché Schettino non lo ha fatto subito“.
La notizia inquietante e quella che probabilmente sarà oggetto di indagini più approfondite, riguarda il generatore di emergenza, o meglio il DGE, cioè il gruppo elettrogeno di emergenza che alimentava tutti gli apparati vitali della nave, compresi gli ascensori. E proprio negli ascensori sono stati trovati molti dei cadaveri delle 32 vittime di quella notte del 12 gennaio 2012, come ha ricordato l’avvocato Laino. L’attenzione su questo particolare è molto alta e nulla deve essere tralasciato, anche perché gli scenari di accusa potrebbero cambiare notevolmente.