In televisione Luca Zingaretti non ha rivali. Che si tratti di Montalbano o di personaggi celebri della storia italiana come Adriano Olivetti, quando c’è lui ad interpretare una fiction l’asticella degli ascolti va sempre in su. Ma anche a teatro Zingaretti è una garanzia di successo. Lo dimostra il tutto esaurito per la prima al Teatro Carignano di Torino dove, dal 19 al 24 novembre, andrà in scena La torre d’avorio del commediografo nella traduzione di Masolino D’Amico.
Lo spettacolo, che ha debuttato la scorsa stagione riscuotendo un discreto successo, ha segnato il ritorno dell’attore al teatro dopo dodici anni di assenza. Abituati a vederlo tra piccolo e grande schermo, dove si è costruito una carriera di tutto rispetto inanellando una serie di personaggi giusti, da Perlasca a Don Puglisi fino a Montalbano, ignoriamo che in realtà Luca Zingaretti nasce come attore teatrale.
“Sentivo il desiderio di mettere in scena il testo giusto”, ha detto in un’intervista. Quel testo l’ha trovato nella piece di Harwood (Premio Oscar per la sceneggiatura de Il Pianista di Roman Polanski), di cui per l’occasione ne cura anche la regia. Il titolo originale dell’opera, Taking sides, che significa letteralmente “Schierarsi” (trasformato in A torto o a ragione nel film di István Szabó del 2001 con Harvey Keitel e Stellan Skarsgård) rende bene il senso della metafora sottesa sull’importanza di prendere una posizione. Il testo, ambientato nella Germania del 1946, fa rivivere l’episodio storico dei processi di denazificazione a cui furono sottoposte tutte le personalità più in vista del paese, andando così a riflettere su un tema di grande attualità come il ruolo dell’intellettuale nella società e l’autonomia della cultura nei confronti del potere politico.
Lo spunto narrativo da cui la commedia prende le mosse è la storia di Wilhelm Furtwängler, celebre direttore d’orchestra dei Berliner Philharmoniker (interpretato da Massimo De Francovich). Furtwängler non nascose mai il suo disprezzo per il Terzo Reich, nonostante ciò non fuggì mai dalla Germania come fecero molti intellettuali sui contemporanei. Nel periodo più buio per il suo paese, aveva scelto di rimanere, isolandosi in una “Torre d’Avorio”, per tenere accesa e viva la fiaccola della cultura tedesca, convinto com’era che questa non avesse alcun colore politico. Quando gli americani arrivano a Berlino vogliono vederci chiaro su questa presunta collaborazione col regime. Furtwängler si trova così costretto a giustificare la sua scelta di fronte al suo antagonista, il maggiore dell’esercito Arnold (Luca Zingaretti) che odia la musica classica, un giustiziere integerrimo e indignato dalle atrocità che ha visto perpetrare nei campi di concentramento e soprattutto, un americano convinto nell’eguaglianza di tutti gli uomini nei diritti quanto nelle responsabilità.
Lo scontro tra due personaggi così diversi e incapaci di capirsi diventa un affascinante match che sembra chiudersi senza vinti né vincitori. L’autore non propone risposte all’interrogativo che ne ha animato la scrittura dell’opera, se fare arte sotto un regime politico equivalga o meno ad esserne complice, lasciando che sia la coscienza di ogni singolo spettatore a sciogliere uno dei dilemmi morali più irrisolti della storia.