È strano vedere tante madri ad un corteo. Un paio di mesi fa, durante la marcia di Aversa, sfilarono in silenzio, vestite di nero e con le foto dei loro figli sul petto. Sabato si sono ritrovate in Piazza Plebiscito, la Plaza de Mayo della Terra dei Fuochi.
A Buenos Aires ogni giovedì tante donne, con un fazzoletto bianco in testa, in silenzio e con in mano le foto dei loro cari scomparsi durante il periodo della cosiddetta guerra sporca, fanno il giro della piazza. Così come in Argentina, le madri della Campania chiedono giustizia per i loro figli. Per quelli che ci sono, e per quelli che non ci sono più. E la rabbia di una madre che vuole proteggere il proprio figlio è qualcosa di assoluto, che è difficile da capire fino in fondo, ma è il segnale che qualcosa di veramente grave sta accadendo. E non è, quindi, un caso che per la prima volta questo tipo di manifestazione abbia trovato spazio anche sui media internazionali come la BBC e il The Telegraph.
Il #fiumeinpiena ha inondato non solo le strade di Napoli, ma quelle di tutto il mondo. Gli abitanti di questa terra, per anni additati ingiustamente come responsabili del disastro ambientale a causa del loro malcostume, sono diventati un simbolo di speranza, di una possibile rinascita attraverso il dolore. Un popolo che si risveglia e rivuole sana la sua terra stuprata. I centomila della marcia rappresentano un capitale umano, che non va disperso affinché da affluenti del fiume in piena non diventino ruscelli che sfociano nel deserto. Infatti, il pericolo, come spesso accade in queste situazioni, di abbassare il livello di guardia o di perdere lucidità, è dietro l’angolo. Da una vetta del genere si può solo scendere, se non precipitare, e restare con un pugno di mosche in mano.
Al di là di ogni ragionevole paura, bisogna iniziare a preoccuparsi della Terra dei Fuochi con proposte, a mettere in campo la forza della scienza e il coraggio della ragione. È difficile, non solo perché il dire è più facile del fare, ma soprattutto perché ad oggi ci si è concentrati più sulla legittima e necessaria protesta, più che sulle proposte. Ma queste devono provenire da chi queste terre le abita, che ne conosce le potenzialità e soprattutto i limiti. Se terminata la fase della rabbia, non si comincia con una fase costruttiva, verrà qualcuno ad imporre politiche sbagliate e dannose, ma soprattutto incapaci di risolvere il problema.
È sbagliato sia un atteggiamento eccessivamente passivo ed accomodante, ma lo è altrettanto quello di opporre un immotivato no a tutto, rifiutando per paura ogni progetto, buttando così dalla finestra anche il buon senso. Quando le luci della ribalta mediatica si spegneranno, quando il silenzio tornerà a regnare sulla Terra dei Fuochi, se non si è dato vita ad un progetto costruttivo, se si è sottovalutata la fase della ricostruzione dalle macerie, si potrebbe scoprire che i consensi non ponderati o i rifiuti assoluti saranno serviti solo a generare altra “munnezza” e da queste parti non se ne avverte proprio la necessità.