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Categorie: News Sport

Quando lo sport fa male: il football americano e i danni al cervello

Published by
Vincenzo Renzulli

Che lo sport faccia bene al corpo e alla mente è ormai un assunto che molte persone danno per scontato, spesso senza conoscere in modo approfondito le questioni relative ai possibili danni a cui si va incontro, soprattutto praticando alcune particolari discipline. Quando poi si parla di problemi cronici al cervello, allora la cosa si fa davvero seria.

Negli ultimi giorni la lente di ingrandimento è stata puntata verso il football americano, lo sport più seguito nel paese a stelle e strisce: basti pensare alle centinaia di milioni di persone che ogni anno rimangono attaccate alla televisione a guardare il Superbowl, la finale del campionato Nfl, che oltre a essere il clou della stagione sportiva rappresenta un evento mediatico quasi senza pari al mondo (molto più delle World Series di baseball e delle finals dell’Nba). I violenti contatti fisici che avvengono nel corso di una partita, soprattutto quelli che vedono coinvolta la parte alta del corpo, sono causa di danni permanenti al cervello più o meno gravi.

La vicenda che a tal proposito ha calamitato l’attenzione riguarda una delle icone sportive dell’Nfl, l’ex quoterback Brett Favre, fuoriclasse capace di vincere per tre volte consecutive (dal ’95 al ’97) il titolo di miglior giocatore e titolare di decine di altri record, che ha dichiarato di avere continui vuoti di memoria. Favre di certo non è mai stato un debole, anzi, è noto per esser sceso in campo anche in condizioni precarie pur di giocare, ma la situazione in cui è venuto a trovarsi lo ha spaventato a tal punto da fargli confessare tutto alla stampa.

L’ex quoterback dei Green Bay Packers è solo l’ultimo dei giganti del football a manifestare problemi celebrali; diversi sono stati i casi di ex atleti con perdita di memoria, intensi mal di testa e addirittura demenza precoce, che a volte hanno avuto risvolti anche più tragici della stessa malattia. Basti pensare ai casi di Junior Seau, Dave Duerson e Ray Easterling, ex giocatori dell’Nfl di buon livello (soprattutto Seau, fortissimo linebacker ex Boston e Miami), giunti fino al gesto estremo del suicidio dopo aver manifestato i sintomi di danni celebrali permanenti. Un gesto disperato il loro, un atto d’accusa verso una lega che non ha mai tutelato nel modo giusto i propri tesserati. La richiesta via sms inoltrata da Duerson ai propri familiari prima del tragico gesto, quella di donare il cervello ai laboratori della Boston University School of Medicine, ha rappresentato l’ultima volontà del giocatore, per rendersi in qualche modo utile ad evitare ad altri ex giocatori come lui gli stessi problemi.

La ricerca scientifica

Le ricerche svolti finora hanno pian piano fatto emergere la situazione. Già nel 2009 uno studio commissionato dalla lega Nfl all’Università del Michigan su 1063 ex atleti ha dimostrato come per loro, rispetto alla media nazionale, i casi di malattie neurodegenerative sviluppate siano molto superiori. Rispetto ai non sportivi, in molti degli ex atleti del football americano si evidenzia la presenza di una sindrome conosciuta come encefalopatia traumatica cronica (ETC), che riduce il cervello ad uno stato simile a quello di un malato di Alzheimer.

Studi più recenti mostrano proprio la correlazione tra i traumi sportivi alla testa e l’insorgere dell’ETC: quello dell’Università di Boston ha accertato che i ripetitivi contrasti caratteristici del football americano possono provocare danni cerebrali, mentre quello più recente effettuato dall‘Imperial College di Londra è giunto a risultati ancora più importanti. Il gruppo guidato dal dottor Adam Hampshire ha testato le abilità cognitive di 13 ex atleti dell’Nfl e di 60 volontari sani contemporaneamente attraverso dei semplici test, che consistevano nell’inserire delle palline colorate in determinati tubi. Se da essi si è riscontrato solo un lieve deficit prestazionale degli ex atleti nell’eseguire il compito, all’esame della risonanza magnetica funzionale si è visto come alcune aree del cervello fossero iperattive, a differenza dell’ipoattività nel lobo frontale, risultato che può essere ben spiegato con il numero di colpi che ognuno degli ex atleti ha subito in carriera (nell’immagine, il confronto tra i dati sul cervello degli ex atleti e di quello dei volontari)

La lega è accusata pesantemente di non aver protetto al meglio i propri atleti, l’opinione pubblica invoca cambiamenti come molti giocatori, e la definitiva spinta per modificare qualcosa potrebbe essere data dal film che il grande regista Ridley Scott sta pianificando, che tratterà proprio della negligenza dei dirigenti sportivi dell’Nfl nella tutela della salute degli sportivi. Perché lo show deve andare avanti, ma nel modo giusto.

Foto: bleacherreport.com

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Vincenzo Renzulli