Abdellah Taïa è il primo scrittore marocchino ad aver dichiarato apertamente di essere omosessuale, in un’intervista nel 2006 ad un quotidiano del suo paese, rispondendo ad una domanda diretta del giornalista. Nato a Salé, vicino a Rabat, nel 1973, lo scrittore vive adesso a Parigi, dove si è trasferito all’età di 25 anni, spinto dalla grande passione per la letteratura francese e per il cinema e dall’adorazione per le attrici egiziane, eroine dell’infanzia e soprattutto per la necessità di vivere apertamente la sua sessualità lontano dalla sua terra e dalla sua famiglia.
Taia ha espresso il suo parere su cosa significhi essere gay nel Marocco di oggi: “È vero che sono il primo marocchino ad essersi dichiarato pubblicamente. Ma non me ne prendo i meriti. Quel che manca in Marocco è la possibilità di esistere per se stessi, di vivere in modo in modo indipendente, padroni del proprio corpo e della propria sessualità”.
Nei suoi libri ha raccontato la difficoltà di essere gay in un paese musulmano, un percorso fatto di umiliazioni vissute, violenze fisiche e psicologiche, poiché considerato uno strumento sessuale di uomini repressi. In Marocco l’omosessualità rappresenta ancora un tabù fortissimo ed è considerato un crimine punito con la detenzione da 6 mesi a tre anni. Le sue prime opere e le successive come L’esercito della salvezza, Mon Maroc e Le rouge du tarbouche, descrivono il conflitto interiore di un uomo che sente di appartenere a più culture. “Quando ho lasciato il Marocco avevo già maturato una sorta di fedeltà per quel mondo che prima detestavo. Una fedeltà interpretata alla mia maniera, un sentimento controverso che non può essere paragonato ad una nostalgia facile e innocente”.
Nelle sue opere lo scrittore marocchino prende differenti tasselli e li lega insieme, portando sulla carta la propria esperienza di vita. Dalle sue parole viene fuori un rapporto profondo e viscerale con il suo paese e con i suoi genitori, che sapevano tutto, ma facevano finita di niente. Genitori ora giustificati e non odiati, per non aver compreso che dietro i silenzi, si celava una richiesta d’aiuto, ma come spiega Taia, loro non potevano capire perché non avevano i mezzi per farlo. La molla per il cambiamento arriva a 13 anni quando rischia di morire per aver toccato un cavo della corrente. “Adesso lo vedo come un tentativo di suicidio. Da quell’episodio ho deciso di cambiare per costruire un uomo fatto solo di pensiero. L’Abdellah dei sogni e dei sentimenti è ancora attaccato a quel cavo dell’elettricità davanti a casa, in Marocco. Non ho mai più dato il vero me a nessuno, per salvarmi ho dovuto uccidermi”.
“L’esercito della salvezza” il suo terzo romanzo, è un viaggio nella la storia della sua infanzia in Marocco, l’adolescenza, il suo arrivo a Parigi. Un intreccio di episodi del passato e del presente, un tuffo nell’intimità dell’autore, che racconta il distacco dalla terra natia senza censure, con una scrittura dolce e cruda allo stesso tempo. Le prime pagine del testo si aprono sull’infanzia dello scrittore, segnata dalla promiscuità vissuta all’interno delle mura domestiche. Quel mondo è intrinsecamente legato a lui. Il racconto è senza compromessi, mostra la sua verità esplicita e nuda, puntando il cuore della storia sull’ambiguità che dilania il paese, fino alla ricerca della propria libertà nel coraggio di accettarsi e in difesa della propria identità.
C’è bisogno di una liberazione dai tabù e dalle ipocrisie che affliggono le società culturali di oggi. La sua dichiarazione ai giornali durante l’intervista è stata una bomba, che ha destato scalpore e ha dato il via ad un dibattito culturale. Varie le reazioni: negative, da parte della stampa conservatrice, e di sostegno dalla stampa progressista.
“Un omosessuale vive nella società, non al di fuori. Parlo, posso farlo: non devo usufruire di questo lusso per me soltanto. La società quasi non tollera gli omosessuali, li obbliga ancora a nascondersi e a vivere nella vergogna. Bisogna impegnarsi a nome di coloro che non possono parlare, che non sono soltanto gli omosessuali. E’ difficile spiegare, convincere. Dire: sono omosessuale, non sono malato, sono come voi, vengo dal vostro stesso passato di povertà e sottomissione. Certo, ho ancora un po’ di paura. Certo, a volte piango. Ma, anche nei giorni più bui, non dimentico mai la mia straordinaria fortuna: scrivo, vengo pubblicato e tradotto. È un onore. E, lo ripeto, soprattutto un dovere.”