Il giorno della verità potrebbe essere il 16 novembre. Quando, attorno alle ore 16, si riunirà il consiglio nazionale del Popolo della Libertà per discutere il futuro di un partito che ha al suo interno molti nodi da sciogliere.
Berlusconi ha deciso dopo un lungo incontro con Raffaele Fitto e un colloquio telefonico con Angelino Alfano, che da tempo premeva perché l’assemblea venisse anticipata. E in effetti l’accelerazione c’è stata, visto che la data inizialmente fissata dall’ufficio di presidenza era l’8 dicembre, in concomitanza con le primarie del Pd. Un anticipo che si è reso necessario in virtù delle continue tensioni che scuotono il Pdl, per scongiurare il rischio di una dolorosa scissione data ormai per probabile da diversi osservatori.
Le acque nel Centrodestra restano comunque agitate. “Se la nuova Forza Italia avrà una direzione collegiale ci entro, se sarà guidata da un gruppo estremista senza dialettica democratica, no.” Non lasciano dubbi le parole di Fabrizio Cicchitto, che ha anche segnato un punto a favore dell’esecutivo guidato da Letta: “Non possiamo far precipitare il paese in una crisi di governo. Sarebbe un autogol, perché avremmo un governo di scopo senza di noi e contro di noi che farebbe una nuova legge elettorale”. A chi gli chiede se sarà presente al Consiglio nazionale risponde criptico: “C’è tutto il tempo per pensare e per decidere.” Tra le righe, un messaggio chiaro al Cavaliere: la data dell’assemblea si doveva scegliere insieme.
Berlusconi dalla riunione del 16 spera di uscire rafforzato. L’obiettivo è arrivare al voto sulla decadenza da leader consolidato del Pdl, per giocarsi le sue ultime carte e guardare in viso chi gli rema contro. Il Cav sa che Alfano ha un buon numero di sostenitori in Senato, ma ritiene che fuori dal Parlamento, tra la gente, conti poco o nulla. Per questo sarà lui ad aprire il consiglio, e tenterà di condurre alla pacificazione le due anime del partito, per unirle di nuovo sotto la sua guida. Ma non sarà facile. I governativi, infatti non transigono sulla tenuta dell’esecutivo e chiedono che si modifichi lo statuto per permettere la costituzione di un organismo decisionale da affiancare all’ex premier. Segno che, forse, i tempi dell’uomo solo al comando sono finiti.
Intanto non accennano a placarsi le polemiche relative allo “sfogo” del Cavaliere, che nell’ultimo libro di Vespa ha paragonato la situazione della sua famiglia a quella delle famiglie ebree in Germania durante la dittatura di Hitler. Sdegnato il commento di Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane: “Un paragone non solo inappropriato e incomprensibile, ma anche offensivo nei confronti di chi fu privato di ogni diritto e, dopo atroci sofferenze, della vita stessa”. Berlusconi ha spiegato che si tratta di polemiche strumentali su una frase estrapolata da un ampio contesto e ha concluso: “ La mia storia, la mia amicizia verso Israele, la mia coerente azione di governo in favore dello Stato di Israele, non consentono alcun dubbio sulla mia consapevolezza della tragedia dell’Olocausto e sul mio rispetto del popolo ebraico”.