Le maioliche blu, i minareti ed il tea turco (çay) offerto dai commercianti in segno di amicizia e di ospitalità ai visitatori curiosi che entrano nella loro bottega, sono i piccoli tasselli colorati al profumo di pepe rosa e gelsomino che compongono il quadro della magica Istanbul.
Sarayburnu e Sultan Ahmet sono i quartieri più antichi della città. Le ricchezze storiche, culturali e turistiche si trovano, infatti, concentrate in queste zone; il vero e proprio cuore pulsante dove anticamente furono costruiti i maestosi palazzi imperiali durante i regni Bizantino, Romano ed Ottomano.
Questo è un viaggio tra le vie affollate del centro municipale più popoloso d’Europa, dove è possibile osservare donne agli antipodi, dal velo scuro che copre il volto alla minigonna che scopre le gambe, dalle studentesse universitarie alle mogli devote. Ci si trova dinnanzi ad un costrutto antropologico che come un chiasmo ci sorprende poeticamente.
Il Bosforo divide gli stili di vita ed i modi di pensare di una città metaforicamente accostabile alle mitologiche Colonne d’Ercole, ove la conoscenza del nuovo e dell’incerto incuriosisce e fa paura. Radicata tradizione e neofiti sguardi curiosi verso la modernità danno vita ad una visione armonica di questa megalopoli.
Quattro le tappe fondamentali per entrare in questo universo geografico da scoprire: Santa Sofia, la moschea blu, il palazzo Topkapi e il bazar.
Annoverata come tra le più grandi opere architettoniche del mondo, la struttura che per 916 anni fu chiesa, 482 moschea ed oggi museo é Santa Sofia, al suo interno si procede scalzi varcando l’ingresso rigorosamente riservato ai turisti, le altre due porte sono dedicate all’entrata separata di uomini e donne. La struttura e la decorazione degli interni rievocano l’immagine terrestre del paradiso. La luce soffusa, le numerose candele e un acuto silenzio offrono la possibilità di riscoprire l’importanza della “meditazione” non solo religiosa, ma anche introspettiva. Qui si trova la pura espressione arabo-islamica della spiritualità concettuale, poiché l’entità divina non si può raffigurare materialmente o disegnare ma semplicemente provare ad interiorizzarlo, così come scritto all’interno dell’opera sacra al-Qurʾān.
La Sultanahmet camii, conosciuta come “moschea Blu”, fu costruita dall’architetto Sedefkar Mehmet Ağa ed è così chiamata per la predominanza delle piastrelle color turchese presenti nel tempio. Questa Moschea, risalente al XVII secolo, è anche l’unica che vanta ben sei minareti, ricordiamo che solo la moschea di Ka’ba, presso la Mecca, ne ha sette.
Cos’è un minareto? Il minareto è la torre, presente in quasi tutte le moschee che serve a scandire la giornata liturgica; da questa parola deriva appunto il muezzin che cinque volte al giorno chiama alla preghiera i devoti di Allāh. Megafoni in giro per la città, un suono comune segnala al fedele di interrompere la sua attività per inginocchiarsi sul tappeto e dedicare le sue parole ad Allāhu Akbar, l’Iddio Sommo.
La particolarità architettonica presente nella Moschea Blu dei numerosi minareti è dovuta, secondo una leggenda popolare, ad un fraintendimento: l’espressione delle manie di grandezza del sultano Ahmed I, non potendo eguagliare la magnificenza della Moschea di Solimano né quella di Santa Sofia, non trovò soluzione migliore per cercare di distinguerla che i minareti in oro; l’architetto fraintese però le parole del sultano, capì “altı” (in turco “sei”) anziché “altın” (oro).
Il Palazzo Topkapi è stato il centro dell’impero Ottomano per oltre quattro secoli, è situato in una posizione geograficamente strategica sul basso promontorio dove si incontrano le acque del Corno d’Oro e del Mar di Marmara da dove il Sultano riusciva a dominare le acque e le terre con egidia. Oggi è il museo più visitato di Istanbul. All’interno si può godere della preziosa collezione del “tesoro” e alcune stanze originali del Palazzo, l’Harem, ad esempio, offre la possibilità di vivere un pezzo dello spaccato di quotidianità regale. Proprio l’Harem, dall’arabo intimo e privato, è forse la zona più affascinante del grande complesso, banalmente è importante sottolineare che non fosse esclusivamente la zona dei piaceri sessuali del Sultano, bensì quella che potremmo definire come “casa privata” del reggente.
Dulcis in fundo, non poteva mancare, il racconto descrittivo del Gran Bazar, un mercato labirintico di 31 mila metri quadrati. Perdersi fra i mercati dell’argento all’interno di questa struttura al coperto è davvero facile. Numerose le bancarelle e i negozi ma ancor di più il numero delle persone presenti dedite all’acquisto o semplicemente al passaggio. Entrando si è piacevolmente travolti ed inebriati dall’odore delle spezie e dal suono melodico degli strumenti a corda che vengono provati al centro della via senza troppi fronzoli. Sentirsi piccoli, dei semplici “puntini di passaggio”, è una sensazione che, a mio parere, tutti gli occidentali hanno provato trovandosi li in mezzo.
Ad Istanbul non si incontrerà Shahrazād, ma la sensazione di essere in una favola orientale è seducentemente predominante.