Da qualche giorno i cieli pugliesi sono sorvolati da un elicottero giallo dotato di un sistema laserscan in grado di scandagliare il sottosuolo di cave dismesse e misurare eventuali emissioni radioattive di metalli e gas. Un’area di 4.000 chilometri quadrati in alcune province tra Campania, Sicilia, Calabria e Puglia è sottoposta a telerilevamento per capire se queste zone sono state utilizzate dai clan mafiosi per lo stoccaggio di sostanze tossiche e in alcuni casi anche radioattive.
Le dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone, rilasciate alla Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti dal 1997, sono state desecretate lo scorso 31 ottobre su decisione dell’Ufficio di Presidenza della Camera. “Si tratta della prima volta che la Presidenza della Camera – senza che questo sia richiesto dalla magistratura – decide di rendere pubblico un documento formato da commissioni di inchiesta che in passato lo avevano classificato come segreto”, ha dichiarato Laura Boldrini.
L’ex cassiere dei Casalesi racconta nei dettagli quale fosse il sistema dello smaltimento illecito dei veleni, anche radioattivi, in Campania, ma non solo. L’aspetto inquietante è che alle dichiarazioni messe a verbale già negli anni Novanta, non seguirono interventi sui territori colpiti. “In 20 anni rischiano tutti di morire” affermava Schiavone durante l’audizione del 7 ottobre del ’97.
Fino al 1992 praticamente tutto il Sud, fino alla Puglia e poi più giù ancora, tra Calabria e Sicilia, era area di smaltimento illegale di rifiuti tossici provenienti non solo dall’Italia, ma da tutta Europa.
La domanda del presidente della Commissione parlamentare di inchiesta, Massimo Scalia, fu chiara: “Sulla Puglia cosa sa?” La risposta, invece, più nebulosa: “C’erano discariche nelle quali si scaricavano sostanze che venivano da fuori, in base ai discorsi che facevamo negli anni fino al 1990-1991“.
Salento, ma anche province di Bari e Foggia le località interessate. Qui operava la Sacra corona unita, ma sempre in collaborazione con i clan campani e calabresi. Ed a questo proposito è tornata a galla la testimonianza di Silvano Galati, affiliato alla Sacra corona unita sino al 2005, e poi diventato collaboratore di giustizia, il quale aveva svelato la localizzazione di un sito trasformato dalla mafia in un cimitero di rifiuti. Una zona nelle campagne intorno a Casarano, a poca distanza da aree agricole.
In alcune zone del Salento le percentuali di malattie oncologiche sono molto superiori alla media, troppo. Per questo nei giorni scorsi l’Arpa Puglia e il ministero, durante una riunione all’Istituto superiore di Sanità, hanno previsto un percorso comune per trovare le motivazioni dell’anomalia di questi dati, di cui i rifiuti interrati potrebbero essere una delle cause.
Quello dei rifiuti illegali è un traffico che fruttava ai clan un profitto di 600-700 milioni al mese, costruito con un complesso e preciso sistema di prelevamento e trasporto dei rifiuti, passando attraverso le stesse discariche autorizzate, circoli culturali e in alcuni casi anche membri di consigli comunali direttamente collegati ai clan.
Da Genova, La Spezia, Massa Carrara e Milano provenivano i camion carichi di sostanze tossiche, mentre i fanghi nucleari erano prelevati dalla Germania e poi occultati in quello che sempre più si configura come un Mezzogiorno dei veleni.
“Oggi leggo sui giornali che all’improvviso le cave sono piene di immondizia: è perché ci sono dei controlli, quelli che non c’erano prima” dichiara ancora Schiavone. L’emergenza rifiuti insomma sarebbe cominciata quando le discariche non hanno più potuto affidare i rifiuti in ingresso ai clan e anche questo fa riflettere, specie se lo si mette in relazione con una affermazione che il pentito fa all’inizio delle oltre sessanta pagine di dichiarazioni: “Se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza del clan, questo avrebbe forse potuto esistere?”