Il calcio e la scaramanzia, un po’ di fortuna per vincere

Riti, gesti, amuleti e preghiere. Ogni giocatore vive in maniera particolare il suo pre-partita, tra le tante emozioni e l’adrenalina che sale prima di scendere in campo davanti a migliaia di tifosi.
Quanti sono i giocatori scaramantici? Tanti, alcuni dichiaratamente altri meno: un po’ di scaramanzia non guasta mai.

In Italia i casi di riti che si ripetono prima della partita sono molteplici, sia da parte dei calciatori sia da parte degli allenatori e, addirittura, dei presidenti.
Possiamo partire da Napoli, “patria” italiana della scaramanzia per antonomasia: nel tunnel che porta i calciatori dallo spogliatoio al campo, sul muro ci sono decine di immagini sacre, raffiguranti santi di ogni tipo. Alcuni tifosi napoletani tengono molto ai loro riti e alle loro credenze: l’anno scorso era vietato la parola “scudetto”, nonostante il club partenopeo fosse di poco alle spalle della prima in classifica.

Ma certamente Napoli non è l’unica città dove la scaramanzia vuole la sua parte. A Cagliari, il presidente Cellino ha fatto eliminare la fila 17 dal nuovo (e ormai ex) stadio Is Arenas, creando la 16bis.
Se andiamo a Roma, invece, Daniele de Rossi è solito giocare con una manica lunga ed una corta: tutto è iniziato in una Domenica come tante altre. Un avversario tirò la maglia a De Rossi, strappandogli la manica: da lì in avanti “Capitan Futuro” fece una partita memorabile, decidendo di giocare ogni partita con una manica lunga ed una corta.

A livello di “singoli”, però, sono tantissimi i casi di scaramanzia: per quanto riguarda gli allenatori, molto scaramantico è Walter Mazzarri. Ogni volta che, sulla panchina del Napoli, toglieva la giacca restando in camicia, il Napoli andava in gol.

Trapattoni, ex CT della nazionale, versò dell’acqua santa sul campo prima di una partita dell’Italia (finita male).
A proposito di cose sacre, sono tantissimi i giocatori che prima di entrare in campo fanno il segno della croce baciando poi il campo, portando il braccio dalla bocca al terreno. Anche la religione ha la sua importanza nel calcio.

La scaramanzia non esiste? Andatelo a dire ad Adrian Mutu che giocava tutte le partite con le mutande al contrario. Oppure, andando indietro nel tempo, chiamate Tardelli e ditegli che giocare con dei santini nei parastinchi non serve a nulla: lui ci ha vinto un mondiale, da protagonista, nel 1982.

Oppure, restando un po’ indietro, provate a convincere Gigi Riva che un numero di maglia equivale all’altro: una volta lasciò la sua amata “11” per una partita. E si ruppe la gamba.

Magari, chiedendo a calciatori, allenatori e presidenti se credono alla scaramanzia ti risponderebbero di no. Ma direbbero anche che, nel dubbio, un rito ce lo hanno anche loro. E che è meglio non sfidare la fortuna mancandogli di rispetto: non prima di una partita.

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