Il decreto Scuola passa al Senato

Che la scuola e l’istruzione siano settori chiave per la crescita del Paese lo dimostra il fatto che ogni governo succedutosi negli ultimi quindici anni ha posto mano almeno ad un decreto se non addirittura a una intera riforma.

Era il 1997, quando, con la “Legge Quadro in materia di Riordino dei Cicli dell’Istruzione”, Berlinguer decise di proporre una prima grande riforma della scuola, con la quale doveva essere stravolto il sistema scolastico italiano, poiché erano previsti soltanto due cicli di sei anni ciascuno. Il risultato, dopo un anno di cortei, occupazioni e proteste degli studenti, con la Legge 10 dicembre 1997, n.425, viene riformato l’esame di maturità, che d’ora in poi comprenderà tre prove scritte e un colloquio.

Anni 2000, con le elezioni politiche vinte dalla coalizione di centro-destra, viene nominata Ministro per la Pubblica Istruzione Letizia Moratti, che presenta una nuova radicale proposta di riforma del sistema scolastico, suscitando consensi e dissensi accesi su fronti opposti, specie per il drastico cambiamento nei programmi ministeriali, per l’abolizione del tempo prolungato e per l’introduzione del portfolio dello studente.

Il 29 ottobre 2008 il Parlamento converte in legge il decreto del Ministro Mariastella Gelmini, che modifica il metodo di valutazione degli studenti nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, e reintroduce il maestro unico nella scuola elementare, provocando diverse manifestazioni contrarie in tutta Italia.

Nel frattempo, nella scuola italiana si va sedimentando il principio di “autonomia scolastica”, che trova origine nell’art. 21 della legge 15 marzo 1997, n.59, in cui viene definita l’articolazione dell’attività didattica e si introduce il principio di flessibilità oraria dei docenti. Dall’entrata in vigore della legge le singole istituzioni scolastiche, progetteranno e realizzeranno gli interventi di educazione, formazione ed istruzione adeguandoli a diversi contesti e teoricamente in coerenza con le finalità del sistema d’istruzione nazionale. Con l’autonomia viene introdotto per la prima volta il P.O.F. (Piano dell’offerta formativa), un documento che ogni istituto deve elaborare annualmente per presentarlo a studenti e genitori al momento dell’iscrizione a scuola.

In concreto l’autonomia sancisce per la scuola l’inizio di una nuova epoca, in cui i presidi non sono più solo presidi, ma dirigenti di un istituto in cui è necessario prima di tutto “far quadrare i conti”. Se arrivano tagli ai fondi di istituto è bene cercare di mantenersi stretti gli alunni e quindi chiudere un occhio su qualche insufficienza, per non bocciare anche lo studente decisamente meno meritevole.
E anche i docenti devono fare la propria parte, nel tentativo di tenere a galla una scuola che dallo Stato ha ricevuto sempre meno, ma che sempre di più è stata sottoposta alle pressioni di test INVALSI e indagini OCSE, che regolarmente danno l’Italia agli ultimi posti in Europa per competenze alfabetiche e matematiche.

Solo ieri un nuovo decreto Scuola è stato approvato dalla Camera: prevede un piano triennale, dal 2014 al 2016, con l’assunzione di 26 mila insegnanti di sostegno, l’immissione in ruolo di 69 mila docenti e 16 mila Ata e il sostegno al welfare degli studenti. Centrali la lotta alla dispersione scolastica, la formazione dei docenti e il rilancio dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica. Attenzione anche all’orientamento degli studenti, con 6,6 milioni di euro per avviare dal quarto anno delle superiori e dall’ultimo anno delle medie programmi di orientamento. Approvato, infine, un emendamento proposto da Sel: il 3% delle somme confiscate alle mafie verrà destinato al finanziamento di nuove borse di studio.

Il Dl passerà ora al Senato, con diverse modifiche approvate in commissione Cultura al testo presentato dal ministro. Intanto le principali sigle sindacali hanno annunciato una manifestazione il 30 novembre per chiedere delle modifiche alla legge di stabilità per quanto riguarda la scuola. L’assunzione dei circa 60 mila precari, infatti, sarebbe “a costo zero”, poiché il provvedimento non è accompagnato da un’adeguata copertura finanziaria. A tutti i docenti che verranno immessi in ruolo nel triennio 2014-2016, si chiede di rimanere fermi allo stipendio base, senza progressioni di carriera, equiparando per almeno 8 anni la busta paga a quella dei precari.

L’ennesimo ricatto lavorativo a danno di una classe docente che nel corso degli ultimi quindici anni ha visto diminuire sempre più i propri diritti ed aumentare gli obblighi, a danno, chiaramente, dell’intero sistema scolastico, che, almeno teoricamente, dovrebbe “formare” l’Italia di domani.

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