Domenica scorsa, in occasione della partita contro la Roma, l’Udinese è scesa in campo con un insolito sponsor: Michael Nino l’Imbianchino. La piccola ditta privata si è ritrovata all’improvviso al centro di numerose attenzioni mediatiche, grazie ad un concorso promosso dal main sponsor dei friulani: il marchio Dacia. Una bella iniziativa volta a premiare giovani, rampanti, ma soprattutto coraggiosi imprenditori che fatturano meno di 100.000 euro all’anno e il cui business è legato, in qualche maniera, al mondo degli autoveicoli. Ma come si è arrivati allo sponsor per un giorno? Qual è il legame tra una squadra di calcio e il suo marchio e di quanti sponsor ci ricordiamo oggi che siamo bombardati di pubblicità su tutti i media, social network compresi? Sicuramente non tutti sapranno citare a memoria gli sponsor odierni delle squadre della nostra serie A. Cerchiamo di approfondire l’argomento in un post in cui calcio, marketing e un pizzico di sociologia (senza presunzione) si fondono.
C’è stato un tempo in cui conoscere gli sponsor delle maglie dei nostri campioni era un vezzo da appassionati. Imparavamo quei nomi a memoria, li associavamo a dei volti, a delle città, a dei colori. Siamo negli anni ’80 e le squadre del campionato italiano stringono sodalizi lunghissimi, destinati a restare nella mente di tutti. Ero bambino ma ricordo benissimo le maglie della Roma con la scritta Barilla, quelle della Juventus con la scritta Ariston e quelle dell’Inter dove campeggiava il logo Misura. Il Milan di Sacchi dominava il mondo con il marchio Mediolanum, un abbinamento quanto mai azzeccato e simbolico, il giocatore più forte del mondo indossava una casacca azzurra numero 10 con la scritta Buitoni. E che fortuna fu, prima per Buitoni, poi per Mars, poter associare quell’investimento al nome di Maradona. Forse non tutti sanno che sono passati 40 anni esatti dalla prima sponsorizzazione, croce e delizia del calcio. Un bell’articolo di Passione Maglie racconta la storia dell’Eintracht Braunschweig, compagine tedesca dell’omonima città della Bassa Sassonia, che esattamente quarant’anni fa, in Bundesliga diventò la prima squadra di calcio a scendere in campo con un marchio commerciale sul petto, il liquore Jägermeister.
Gli sponsor tolsero poesia e purezza al calcio (così si disse) ma portarono molti soldi e fu sicuramente grazie a questi, e al boom economico (oltre che a spese folli e gestioni poco “sostenibili” per usare un eufemismo) che il calcio italiano si impose in Europa e nel Mondo tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90. Non è un segreto che dietro al Parma dei miracoli ci fosse un’azienda come la Parmalat che, in una finale di Coppa italia, si prese addirittura la briga di tracciare il campo del Tardini con il proprio marchio. Lo stesso dicasi per Erg, attuale sponsor della Sampdoria e già partner dei blucerchiati che, dopo aver vinto lo scudetto, raggiunsero un’incredibile finale di Champions League (prima edizione col nuovo nome) perdendola solo per l’incredibile nottataccia di Vialli, che mai come quella notte sprecò l’impossibile, e per un sassata su punizione tirata da quel cecchino di Ronald Koeman al 120′.
Interessantissima la storia della Juventus e del Torino, sponsorizzate praticamente dalla stessa azienda. Vittorio Merloni, uno dei più illuminati imprenditori italiani decise di legare il marchio Ariston (sinonimo di famiglia) ai bianconeri e Indesit al più rampante (seppur meno vincente) Torino. Curioso il seguito della storia con l’azienda che, a metà degli anni 2000, cambierà nome da Merloni Elettrodomestici a Indesit sostituendo il marchio Ariston con il più internazionale Hotpoint. Eppure sono ancora convinto che nessuno dei tifosi di allora abbia dimenticato quel logo Ariston sulla maglia di Le Roy Platini per il quale fu costruito addirittura uno stadio, a Fabriano, sede del quartier generale Merloni, per permettergli una passerella in amichevole.
Non faccio fatica a ricordare abbinamenti di squadre volgarmente definite di seconda fascia: il mitico “Cocif” dell’Ascoli (che vendeva Cocif?), la Banca del Salento e il Banco di Pescopagano per Lecce e Foggia, Sud Leasing per il mio Bari. E ancora Dietalat per l’Avellino, Mita per il Como prima e in Genoa poi, Canon e Ricoh per il Verona, Crodino per la Fiorentina e Orogel per il Cesena. E il discorso può essere esteso all’estero. Chi non ricorda il mitico Commodore sulle casacche del Bayern? E sono sicuro che tutti sapranno di che squadra parlo se dico Candy. Fu De Laurentis, prima di legarsi all’ormai storico Acqua Lete, a cambiare lo stato delle cose. Occupandosi di cinema propose di sponsorizzare le maglie del suo Napoli con il nome di un film, cambiando le casacche a seconda della programmazione delle sale. In un panorama sempre meno romantico, una menzione d’obbligo va al Barcellona, che ha resistito alla tentazione da sponsor fino a 5 anni fa (poi arrivo l’Unicef e Mourinho con i suoi porquè), e ovviamente all’Athletic di Bilbao che cedette nel 2008 a Repsol, salvo poi fare marcia indietro. Mantenendo saldo invece l’altro principio: solo giocatori baschi (e navarri) in squadra, nessuno “straniero”.
Quali strade percorreranno in futuro le nostre società? A quali marchi si legheranno? E l’iniziativa dell’Udinese rimarrà isolata o verrà in qualche modo ripresa da altre squadre? Non so se abbia ancora senso legarsi per molto tempo ad un marchio. In un’epoca dove tutto cambia in fretta, la percezione dei consumatori è mordi e fuggi e il linguaggio dei social e dei blog ha soppiantato quello della tv, è forse questo il modo migliore per far parlare di un brand. Ma siamo qui per discuterne.
A proposito: quale maglia e con quale sponsor avete conservato nel vostro cassetto? E quale nei vostri ricordi? Raccontatemelo.