Internet è quel posto dove la correttezza intellettuale la puoi lasciare a casa.
In realtà non è così, ma sembra essere il pensiero comune, visto che le parole sono tante e scorrono veloci, allora forse non se ne accorge nessuno se le copio e le spaccio per mie.
Sbagliato.
Perché se sei una persona prolissa e improvvisamente riesci a rinchiudere dei pensieri divertenti e lucidissimi in 140 caratteri, su un social network dove non esiste questo limite, il dubbio sorge eccome. Ma anche se sei un depresso cronico e d’improvviso diventi il burlone della classe.
Sono solo parole, certamente, non si tratta di salvare vite o di massimi sistemi, ma nel momento in cui io sono presente in rete, sono presente con quelle, le parole e poco altro, quindi l’appropriazione senza citazione di qualcosa che mi rappresenta è un furto bello e buono.
Si approfitta del fatto che Twitter e Facebook non sono piattaforme collegate e comunque il bacino di utenza è molto diverso e quindi si vanificano anche mezzi e strumenti di applicazioni nate apposta per capire chi ha rubato cosa.
Giocare su differenti social è la chiave, del resto chi vuoi che si accorga tra i tuoi amici di Facebook che hai copiato delle frasi da Twitter, Friendfeed o qualunque altra piattaforma e le abbia copiaincollate come se fossero tue, a volte senza neanche controllare che non ci fossero errori grossolani e refusi?
Di essere copiati capita. E ti dà la misura del tuo talento nell’usare le parole, anche se contestualizzato a una frase, una sola, riuscitissima. Capita ai comici stranieri di cui, complice la mancanza di conoscenza dei più, si copiano battute subito dopo averle passate in Google Translator. Capita anche a persone molto meno famose, che scrivono molto e con facilità, ma non significa che non ci mettano impegno.
Di copiare dipende dal proprio livello di correttezza intellettuale.
Non bisognerebbe mai appropriarsi di una frase non propria senza mettere il doveroso “cit.” se non proprio il nome dell’autore. E non sto parlando degli aforismi di Oscar Wilde che quelli ormai li conoscono tutti, sto parlando di un qualsiasi sconosciuto che i vostri amici di certo non conoscono, ma questo non è un motivo sufficiente per impossessarsi di una sua frase senza neanche riconoscergliela.
Sarebbe come indossare vestiti non propri, di vestire un ruolo per il quale non si è evidentemente portati, di prendersi il merito di qualcosa per cui non si ha lavorato.
Sono solo parole, ce ne sono miliardi e non ci si salvano vite umane, con quelle, non prendiamole troppo sul serio.
Ma se la parola diventa costruzione identitaria fosse anche solo nel contesto di un social network, il copiare diventa privazione e mancato riconoscimento di quella persona a cui stai di fatto rubando i vestiti che indossa online.
Netiquette si chiama, è una serie di regole non scritte che insegnano come usare la rete e gli infiniti mezzi che mette a disposizione. E non siamo agli esami di maturità, non siamo in un contesto ufficiale e questo rende ancora più patetico chi copia, per cosa esattamente? Per una sfilza di “Mi piace” di cui non potrai mai prenderti davvero il merito?
I copiati si possono consolare col pensiero che loro possono sempre scrivere altre cose, mentre chi copia può solo aspettare che i primi scrivano. E c’è una bella linea di demarcazione che confina con la differenza tra l’essere e l’avere, col vivere e l’esistere, con la vita e la finzione.
Non basta, ma aiuta.