Il campo profughi di Berlino in salsa istituzionale europea

La vicenda ha dell’incredibile e, nonostante la distanza geografica, ci riguarda da molto vicino. In pieno centro a Berlino, a solo due fermate dal Muro -meta di pellegrinaggio di innumerevoli turisti- e sotto gli occhi di tutti, si erge e si allarga sempre più un campo profughi improvvisato dove oltre un centinaio di immigrati africani sopravvive tra sporcizia e degrado, grazie esclusivamente agli aiuti del vicinato. Provengono per la maggior parte da Arabia Saudita, Siria e Libia, ma anche Nigeria, Niger e Palestina.

Raggiungono più o meno le centoventi unità e la stragrande maggioranza di loro è entrata in Europa attraverso l’inferno di Lampedusa. Ma la loro permanenza qui in Germania non è solo segnata dall’estrema povertà e dalla diffidenza della gente, ma anche da un intricatissimo groviglio di divieti e leggi irrazionali che impedisce loro praticamente qualsiasi cosa. Grazie alla scientifica mancanza di pietà di una norma denominata Residenz-pflicht, infatti, sono impossibilitati a lasciare lo Stato federale in cui si trovano fino alla risoluzione burocratica del loro status giuridico, questo significa che fin quando non avranno i documenti in regola non possono lasciare Berlino (che è considerata uno Stato all’interno della Repubblica Federale Tedesca) e non possono neanche lavorare perché in attesa dei documenti necessari.

Vivono in una situazione kafkiana, senza apparente via d’uscita, dove è vietato loro pressappoco tutto. Inoltre alcuni erano già entrati a far parte delle cronache italiane; all’incirca una trentina di loro sono, infatti, tra gli stessi immigrati africani ai quali il nostro governo, con una leggerezza ed uno sprezzo del buon senso invidiabile, aveva dato 500 euro cadauno e messo su un treno per Amburgo, senza tanti complimenti e senza degnarsi di chiedere dove l’uomo davanti a loro volesse realmente andare. La cosa ci riguarda, quindi, molto da vicino, anche perché presto molti tra questi lasceranno Berlino per tornare, forzatamente, in Italia.

Queste, infatti, le parole del ministro degli interni Hans-Peter Friedrich: “È del tutto incomprensibile che il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz e altri politici sostengano che la Germania debba accogliere più rifugiati, quando si tratta del paese che ne riceve di più in tutta l’Ue: nel 2012 ne abbiamo accolti 80.000 e quest’anno saranno più di 100.000, pari a 946 per milione di abitanti. In Italia, invece, il rapporto è di appena 260 rifugiati per milione, e questo dimostra che quello che racconta l’Italia, di essere sovraccarica di rifugiati, non è vero.” A ciò si aggiunge ciò che è possibile trovare sui giornali tedeschi più vicini al governo, come ad esempio il Taz: “Le richieste di aiuto dell’Italia a Bruxelles sono legittime, ma a volte appaiono come misere scuse, giacché il Paese, alla fine, non è gravato dal flusso migratorio più di altri Stati membri come la Germania, al contrario”.

È chiaro, in tale contesto, come lo Stato tedesco intenda esclusivamente difendere i suoi interessi, in totale disprezzo di quelli che dovrebbero essere i valori di unità europea che esso stessa spesso predica in ambito economico, e inoltre ignora l’effettiva difficoltà di rapportarsi con un numero così ingente di afflussi in così poco tempo (ovvero le stesse operazione che Maroni e la Lega fecero nei confronti del Sud Italia ai tempi della Primavera Araba). Ma ciò che molti giornali e politici non dicono è che la Germania non avrebbe neanche bisogno di puntare il dito contro l’Italia esigendo che se la cavi da sola, basterebbe applicare un’altra delirante direttiva europea, fatta apposta per queste occasioni.

Il regolamento Dublino II, infatti, determina che lo Stato membro dell’Ue responsabile per l’accoglimento o rifiuto della domanda di status politico sia il primo Stato in cui l’immigrato ha richiesto asilo. Ovvero, nella stragrande maggioranza dei casi, il primo in cui egli ha messo piede; ed essendo la maggior parte dei centoventi rifugiati a Berlino entrata in Europa attraverso Lampedusa, il primo luogo dove hanno richiesto, molti di loro, lo status di rifugiato politico – in quanto provenienti da terre devastate dalla guerra come Siria, Palestina, Libia o Egitto – è stato ovviamente l’Italia. È chiaro che tale norma istituisce e regolarizza una semplice realtà: d’ora in poi Italia, Spagna e Grecia se la dovranno vedere da soli, per pure e semplici ragioni geografiche, d’altronde è difficile immaginare un immigrato che atterra direttamente a Monaco con un aereo Lufthansa.

Insomma, i centoventi rifugiati attualmente nel centro profughi di Berlino potrebbero presto essere nuovamente rimbalzati in Italia, in un tira e molla istituzionale a base di leggi, statuti, direttive e commi che nulla hanno di umano ma che sempre più dimostrano come l’Unione Europea non è nient’altro che l’unione di identità diverse a cui poco importa dell’altro. Figuriamoci dell’emigrato, quindi. Sempre il primo a farne le spese.

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