Il Tokyo Metropolitan Institute of Public Health, che monitora i livelli di radiazioni ambientali in Giappone, ha riscontrato presenza di Cesio 137 superiori al consentito in confezioni di marmellata biologica “Fiordifrutta” ai mirtilli neri provenienti dalla Rigoni di Asiago e importate dalla Mie Project.
Per qualche settimana su tutti i social network si è diffuso un allarme che in tanti si sono affrettati a smentire: “evitate il consumo di scatolette di tonno economico che reca l’indicazione della zona di pesca FAO 61 e 71, corrispondente al mare intorno al Giappone, inquinato dall’incidente di Fukushima“.
Archiviato come bufala il post che ha allarmato tanti consumatori italiani, Il Sole 24 Ore diffonde ieri la notizia che prodotti alimentari italiani sarebbero stati bloccati alla dogana giapponese per la presenza di tassi di radioattività superiori al consentito.
Dopo il disastro di Fukushima, causato dal terremoto e dal successivo tsunami del 2011, i livelli di tolleranza rispetto alla radioattività si sono decisamente abbassati e in alcuni casi sono anche 10 volte inferiori di quelli europei.
L’allarme sulle marmellate italiane è partito da una inchiesta del settimanale Shukan Asahi, dopo aver ricevuto informazioni secondo cui erano stata bloccate alla dogana marmellate vendute dall’Ikea come “private brand” a causa di una radioattività più alta del consentito. I successivi controlli su altri alimenti provenienti dal’Europa, compresi anche vino e pasta, hanno riscontrato livelli di Cesio 137 decisamente superiori al consentito nella marmellata italiana in barattoli con scadenza ottobre 2015.
L’importatore Mie Project ha fatto sapere che “la radioattività viene misurata due volte all’anno in Italia e nell’ultima occasione, a settembre, un loro specifico esame a Tokyo ha dato risultati ampiamente nella norma“. E anche il produttore veneto, Rigoni, si è affrettato a fare le proprie dichiarazioni in merito: “I mirtilli neri biologici da noi utilizzati sono frutti selvatici di montagna e la Rigoni di Asiago svolge costantemente una attività di controllo della qualità su tutta la materia prima utilizzata, compresi i mirtilli neri“.
A seguito dell’incidente di Fukushima, inoltre, il governo giapponese ha modificato i limiti ammessi per il contenuto di cesio negli alimenti in modo ancora più cautelativo: “se ora in Giappone il limite per i prodotti come il nostro è di 100 Bq/kg contro il precedente 500 Bq/kg, nell’Unione Europea questo limite è ben superiore, ossia di 1250 Bq/kg, mentre negli Stati Uniti è di 1200“.
Secondo l’importatore, l’elevata radioattività potrebbe risalire all’incidente nucleare di Chernobyl in Ucraina nel 1986, dato che i mirtilli utilizzati proverrebbero dalla Bulgaria, dove la Rigoni ha spostato le colture circa un anno fa.
Rimane da chiedersi quali risultati può produrre questo tipo di pubblicità negativa rispetto al made in Italy a livello economico. Se l’ Italia infatti importa dal Giappone principalmente macchine ed apparecchi meccanici, prodotti dell’ICT, elettronici e chimici, il Giappone acquista dal Bel Paese soprattutto agro-alimentari, tessile ed abbigliamento.