Il coraggio di Lea Garofalo

E se fosse capitato a Voi di nascere in una famiglia malavitosa, cosa avreste fatto? Avreste chinato il capo e subito una vita di soprusi o avreste avuto il coraggio di ribellarvi e di dire no?

La storia di Lea Garofalo è una storia di coraggio ma come spesso accade non è una storia a lieto fine anzi è l’ennesima tragedia di un mondo dove le donne faticano ancora a farsi rispettare. Lea è morta per dire NO, Lea è morta per la libertà, facciamo in modo che il suo sacrificio non sia stato vano.

Ne ho parlato con Paolo De Chiara giornalista ed autore del libro Il coraggio di dire no. Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta

Iniziamo dalla fine dal funerale di Lea che si è svolto ieri a Milano? Possibile che in Italia debba passare tanto per rendere onore a chi è stato dalla parte dello Stato?

“È lo stesso Stato (quando parlo di Stato, mi riferisco a tutte quelle Istituzioni rappresentante da certi personaggi) che nella storia di Lea, come in altre storie drammatiche, non ha fatto il suo dovere. Lea ha chiesto aiuto, ha scritto al Capo dello Stato (secondo l’ex portavoce del Quirinale Pasquale Cascella la lettera non è mai arrivata), ai giornali nazionali. Nessuno si è accorto del dolore di questa donna. Anche nel servizio di protezione (ha collaborato dal 2002 al 2009, non è iniziato nessun processo) ha riscontrato problemi. Oggi è importante ricordare questa donna coraggio, questa fimmina calabrese che ha avuto la forza, da sola, di sfidare la schifosa ‘ndrangheta. Ha vinto la sua battaglia, Lea è con noi. Dobbiamo continuare a combattere, come ha fatto Lea Garofalo, per ostacolare l’avanzata di questi delinquenti brutali, senza scrupoli”.

Chi era Lea Garofalo e qual è la sua storia?

“Lea nasce in una famiglia criminale, di ‘ndrangheta. Sin dalla culla sente il puzzo di questa mafia. Nel 1975 viene ammazzato suo padre, Antonio. Il vecchio boss di Pagliarelle (Crotone). Lei tocca con mano, osserva, è testimone della lunga faida tra i Garofalo e i Mirabelli. La nonna, davanti ai morti, le dice: “il sangue si lava con il sangue”. Nasce e cresce in questa cultura. Floriano Garofalo, detto Fifì, ammazzato a colpi di lupara nel 2005, è il contabile della cosca dei petilini a Milano. Le mafie al Nord sono presenti da 40anni. Oggi si stanno accorgendo di queste strane presenze, di questi strani traffici. I Cosco, gli assassini della Garofalo, operavano a Milano, in viale Montello 6. Nel ‘fortino’ della ‘ndrangheta”.

Quando e perchè hai deciso di scrivere il libro?

“Dopo i fatti di Campobasso. Il 5 maggio 2009 Lea Garofalo subisce un tentativo di sequestro in via Sant’Antonio Abate, nel centro storico del capoluogo molisano. L’esempio di questa donna è straordinario. È necessario parlare dei buoni esempi, delle persone che hanno messo in gioco la propria vita per dire ‘No’. Lea si è ribellata a una cultura mafiosa, è morta per proteggere sua figlia Denise. Una giovane coraggiosa, come sua madre. Queste storie di speranza devono essere diffuse, soprattutto tra i giovani. Il nostro futuro, il futuro di questo Paese”.

Oltre alla mafia quanto conta il ruolo della donna nella nostra società?

“Le donne sono la ‘giusta chiave’ per sconfiggere questi maledetti criminali. Tanti sono gli esempi di donne che hanno avuto la stessa forza di Lea. Oggi, la donna, deve ancora ottenere quel riconoscimento mai assegnato per colpa di una cultura sbagliata. Devono faticare di più, devono dimostrare sempre il loro valore. In questo Paese ogni 72 ore muore una donna per mano di un uomo. La cultura della legalità, del rispetto deve entrare nelle scuole, i ragazzi devono capire che il rispetto, verso tutti, è fondamentale. Lo dice l’articolo 3 della nostra Carta Costituzione: tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di sesso…”

Oggi è diversa la situazione in Calabria o il sacrificio di LEA è stato vano?

“La Calabria è una terra bellissima, con persone straordinarie. Ci sono tanti esempi di persone che fanno il loro dovere, con la schiena dritta. È la politica, locale e nazionale, che continua a dare cattivi esempi. A esprimere rappresentanti indagati, imputati e condannati. Loro, i criminali, sono entrati nelle Istituzioni, le controllano. Da Nord a Sud. Tutti siamo coinvolti, tutti dobbiamo ‘sporcarci’ le mani. “A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca”, diceva don Lorenzo Milani. I problemi della Calabria, della Sicilia, della Campania, della Puglia, della Basilica, del Sud non riguardano solo gli abitanti del posto. Riguardano tutti noi. È arrivato il momento di dare il ben servito a questa gentaglia, partendo dalle piccole cose. Rispettando le regole, denunciando le tante ‘stranezze’ quotidiane. La drammatica storia di Lea ci fa capire che è possibile immaginare un futuro diverso.

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