No, non mi iscrivo al partito di quelli che considerano la sconfitta della Juve come un segnale decisivo. Quattro gol subiti tutti in una volta (mai era successo con Conte), la Roma che non sbaglia un colpo, sembra che il testimone dello scudetto possa passare di mano già adesso. E invece no, calma, perché ho visto attentamente i primi sessanta minuti di Firenze e l’anticipo dell’Olimpico. La Juve poteva trovarsi in vantaggio di tre gol, così come il Napoli di due, adesso staremmo facendo altri titoli, celebrando ancora la sfida tra Juve e Napoli, i primi dubbi della Roma e una Fiorentina che gioca meno bene dell’anno scorso e fatica a creare.
E invece, dopo il primo tiro -dal dischetto- Buffon ne prende altri tre, la Roma capitalizza due episodi e schianta Benitez, così adesso il campionato sembra già finito. Errore, che Garcia per primo non commetterà. Perché i titoli si vincono più avanti e le piccole crisi servono (e serviranno, quando accadrà ai giallorossi) per capire se oltre al talento e alla tattica funzionano carattere e personalità. Appuntamento in Champions, quindi. Madrid e Marsiglia saranno gli esami giusti per vedere capacità reattive e possibili contraccolpi, a Conte e Rafa il compito di presentare subito due squadre pronte a zittire i gufi di turno.
Anima e cuore, l’esempio più importante arriva sempre da Firenze e da Giuseppe Rossi. Quando stava rientrando dal primo infortunio, il suo agente firmò col Bayern e gli telefonò per comunicargli la notizia. Lui rispose piangendo, si era appena fatto male di nuovo, lo stesso ginocchio, trattativa saltata e ancora un’operazione chirurgica, con il rischio di non tornare come prima. Ma più di prima, verrebbe da dire, guardandolo segnare felice con la maglia viola, l’unico club che ha creduto in lui, mentre le altre tentennavano impaurite.
Pepito d’oro, Pipita di…cristallo: i muscoli di Higuain, invece, continuano a fare i capricci. Per i medici non ci sono problemi, per la testa dell’argentino evidentemente sì. In Francia servirà un messaggio forte, altrimenti il mistero continuerà e passerà la linea di chi già considera Higuain forte sì ma poco disposto al sacrificio.
Restando agli attaccanti, applausi al Gila. Non segnava dalla prima giornata, ma vedendo giocare spesso il Genoa, lo consideravo un caso solo statistico: anche nelle sconfitte, Gilardino usciva sempre dal campo dopo essere stato tra i migliori, fisicamente e mentalmente proiettato a conquistarsi il Mondiale. Sorride Prandelli, esulta Gasperini che ha festeggiato così il suo ritorno, tira un sospirone tutta Genova: finalmente due vittorie su due, anche Delio Rossi è sulla strada giusta, esonero scongiurato. Non a Catania, dove hanno mandato via Maran che pochi mesi fa aveva realizzato il record di punti in serie A. Il calcio è crudele, lo sa anche De Canio rimasto un anno fermo nonostante la salvezza del Genoa, chissà come mai. Speriamo abbia approfittato di questa lunga pausa per imparare lo spagnolo, in modo da toccare le corde giuste di questo Catania argentino, in crisi d’identità.
Il finale è del Verona, anzi dell’Hellas, perché da quelle parti il senso di appartenenza è una fede. Sono tornati in serie A dopo 11 anni, quasi ventimila abbonati, una struttura societaria di prim’ordine: un dg come Gardini, invidiato dalle grandi, che ha convinto -per esempio- la Nike a puntare sul marchio gialloblù, più un ds come Sogliano capace di prendere Iturbe in prestito mentre gli altri dormivano. Oggi al Bentegodi ci si diverte e si sognano i tempi di Bagnoli. Ma non ditelo a Mandorlini, che sabato tornerà a San Siro dove ha vinto lo scudetto dei record e con un punto di vantaggio sulla sua vecchia Inter. A cui non è bastata una grande prova a Torino (e la firma di Thohir…) per avvicinarsi a chi, nonostante il primo passo falso, sembra comunque essersi iscritto al partito della prossima Champions. Almeno a quello, intanto.