Non bastavano le dimissioni di Mario Monti dalla presidenza di Scelta civica, ora ci pensano anche le voci di imminenti dimissioni del vice ministro all’Economia Stefano Fassina a scuotere l’esecutivo, proprio nel pieno del viaggio a Washington del premier Enrico Letta. Fassina, responsabile economico del Partito democratico, attenderebbe il ritorno di Letta dagli Stati Uniti per ricevere chiarimenti in merito alla legge di Stabilità, varata senza il suo coinvolgimento, e starebbe valutando addirittura la possibilità di lasciare. Dimissioni che, sommate a quelle di Mario Monti da una delle tre colonne che sorreggono il governo, rischiano di pregiudicare gli equilibri su cui poggiano le larghe intese.
Larghe intese che iniziano a preoccupare più di qualcuno nel Pd. Il timore infatti è che queste, da accordo fra le principali forze politiche sorto in una fase di stallo che rischiava di compromettere la tenuta dell’Italia, si stiano trasformando in un nuovo partito. Più esattamente, una riedizione politica di quel centrismo di matrice democristiana che ha caratterizzato la Prima repubblica garantendo stabilità al paese attraverso l’isolamento delle parti politiche più estreme e che certi starebbero ripensando per archiviare definitivamente le divisioni aspre dell’ultimo ventennio italiano.
Sarà per questo che Matteo Renzi, inteso come è a guidare il Partito democratico, tiene sotto tiro da settimane il governo senza risparmiare neanche il Quirinale, anzitutto con la bocciatura dei provvedimenti di amnistia e indulto suggeriti alle camere da Napolitano. E così all’improvviso il “rottamatore” tanto bipolarista piace anche all’ala più a sinistra del suo partito, la stessa che lo aveva sempre visto con sospetto e che adesso sospetta un Enrico Letta nei panni del novello Andreotti.