La storia di Giuseppe Spagnolo sembra scritta dal maestro Verga, perché ricorda quei personaggi che tentano di ribellarsi alla fame, all’ingiustizia sociale, ma che poi finiscono inevitabilmente per soccombere.
Giuseppe vive a Sava, un paese in provincia di Taranto, dove la gente ama riunirsi la domenica in piazza, perché lì c’è tutto: la chiesa, il municipio con le sue enormi bandiere fuori dalla finestra dell’ufficio del sindaco e il bar, dove i pensionati amano giocare a carte. Ha 61 anni e per quasi 30 anni ha lavorato come operaio presso una cantina sociale, dove viene lavorata l’uva dei soci. L’opificio si trova sulla statale che collega Sava con Manduria e ogni giorno la vista dei campi, l’odore dell’erba e il suono delle cicale accompagnano a lavoro l’inesauribile operaio Giuseppe Spagnolo.
Questo fino al 2009, quando la cooperativa fallisce e vengono apposti i sigilli. Giuseppe é disperato, alla sua età dove trova un altro lavoro, ma poi, in fin dei conti, lui non vuole un altro lavoro, vorrebbe solo continuare ad andare lì, che dopo 30 anni considera ormai casa sua. Ed é proprio nella cantina che Giuseppe continua a trascorrere le sue giornate, perché si é rifiutato di restituire le chiavi al curatore fallimentare, che non ha fatto nemmeno tante storie, perché ormai non c’è niente da rubare, è rimasta solo la struttura. Quindi, nonostante i sigilli ogni mattina si reca in azienda con la stessa puntualità di quando era in attività per poi uscirne ad orario di chiusura.
Nessuno nel paese ci fa troppo caso, c’è chi dice che sia disperato, ma in fondo chi non lo è quando si perde il lavoro. Ma Giuseppe Spagnolo, operaio fedele e coscienzioso, non è pazzo, anzi è lucidissimo. Ha avuto un’idea, un’illuminazione. Lì non è rimasto nulla, si diceva, solo la struttura. Appunto. La struttura è fatta di metallo, oltre che di cemento ed amianto. Un pezzo alla volta, in questi anni, Giuseppe ha praticamente sventrato la sua azienda, ma non come fanno i grandi manager, che vendono per profitto i rami d’azienda, ma ha letteralmente smontato lo scheletro metallico che reggeva l’opificio, per poter vivere con il ricavato della vendita dei metalli. Fino ad ieri, quando la struttura non ha retto più ed è crollata.
Lo abbiamo detto, questa storia sembra scritta da Verga, perché la morte dell’ operaio Giuseppe ricorda quella di Misciu Bestia, il padre di Rosso Malpelo, che scavava anche la notte per guadagnare i soldi sufficienti alla sopravvivenza della sua famiglia, finché la cava non resse più e fu sommerso da un cumulo di rena: tutto ad un tratto, punf! E il lume si spense.