Il regolamento dell’UCI (Unione Ciclisti Internazionale) parla chiaro: due anni di squalifica per il primo controllo positivo, in caso di recidività poi scatta la sanzione più pesante, squalifica a vita da tutte le gare ufficiali. Ne sa qualcosa Danilo Di Luca, che in questi giorni si è visto recapitare da parte della procura antidoping del CONI il deferimento in merito ai controlli effettuati nell’ultimo Giro d’Italia, che lo avevano trovato positivo all’Epo. Di Luca non è nuovo all’uso di doping e per lui potrebbe scattare infatti la squalifica a vita.
Questo brutto percorso per lui è cominciato nell’inverno 2008, quando uscì la notizia di un suo fantomatico uso di EPO al Giro 2007 da lui vinto. La procura in quel caso comunque lo assolse. Nel 2009 la mazzata: risulta positivo a ben due controlli effettuati durante il Giro e di conseguenza viene cancellato il suo nome dai primi tre classificati. Due anni di squalifica, come da regolamento, e poi il rientro sotto la bandiera della Katusha. L’anno successivo il passaggio Acqua&Sapone, ma nessun risultato di rilievo e nessuna squadra pronta a dargli fiducia.
La svolta arriva con la Vini Fantini, che punta su un suo rilancio e lo tessera per portarlo all’ultimo Giro d’Italia. Ancora prima di partire per Napoli però il controllo antidoping lo inchioda ancora e nel corso del giro arriva la notizia. Insieme a lui anche il compagno di team Mauro Santambrogio viene squalificato, e nei giorni scorsi è stato protagonista dell’ormai noto episodio di suicidio minacciato.
Per Di Luca, oltre alla squalifica a vita, la Procura del CONI chiede anche “l’invalidazione dei risultati agonistici conseguiti successivamente al prelievo biologico”
Il “killer di Spoltore” è solo uno di una lunga serie di atleti caduti nel giro delle inchieste per doping, da Lance Armstrong , sicuramente il caso più eclatante che ha tenuto tutti col fiato sospeso per anni, fino a Basso, Riccò e Scarponi, per citare alcuni ciclisti italiani.
E’ difficile capire cosa spinga un’atleta a fare una scelta del genere, sicuramente nella testa di chi è abituato a vincere quando i risultati scarseggiano e gli sponsor non sono soddisfatti si innesca un processo di crisi. Alla base sicuramente c’è l’insicurezza e la non fiducia nei propri mezzi, ma ciò non può giustificare chi prova a imbrogliare per avere la meglio su avversari che provano a rigare dritto. Le istituzioni del ciclismo stanno provando a ripulire il mondo delle due ruote dalla piaga del doping, dopo anni di falsi campioni costruiti in laboratorio, e casi come quello di Di Luca non fanno altro che togliere fiducia a coloro che seguono questo meraviglioso sport.