Le rivoluzioni sportive, come quelle sociali, nascono dalle idee di persone speciali, che riescono a guardare le cose in modo diverso da tutti coloro che li hanno preceduti. Nello sport però un cambiamento di paradigma non può essere slegato dalla componente fondamentale di ogni disciplina, quella che quasi sempre decide i destini di atleti, allenatori e dirigenti: i risultati. E la rivoluzione di Billy Beane è nata nel 2002 proprio grazie a una serie di risultati straordinari, conseguiti con una squadra di baseball (gli Oakland Athletics) a basso budget e costruita con giocatori scartati da altre squadre. Una favola sportiva conclusasi senza l’happy ending della vittoria finale, ma con un record di vittorie consecutive battuto dopo tanti anni e soprattutto una metodologia di lavoro presa in prestito da tanti altri suoi colleghi.
Beane in quei giocatori seppe scovare qualità che forse nemmeno loro sapevano di avere utilizzando a modo suo la sabermetrica, una serie di astruse statistiche messe a punto dalla Society for American Baseball Research (SABR), nata nei primi anni settanta con l’obiettivo di studiare nuovi parametri che valutassero il valore dei giocatori di baseball e il loro impatto sulle vittorie di squadra.
Dopo il 2002 le statistiche sono diventate una componente fondamentale per ogni manager sportivo che si rispetti, non solo nel mondo del baseball. Basti pensare all’esempio di Daryl Morey, giovane Gm degli Houston Rockets in Nba, che fa della valutazione statistica degli atleti e della sabermetrica i propri pilastri manageriali. Grazie a lui l’approccio quantitativo è approdato nel mainstream dell’Nba, ma le novità come spesso accade spaventano. Molti suoi colleghi ancora legati all’approccio classico di lavoro non lo hanno preso in simpatia, ma pian piano si stanno ricredendo.
L’anacronismo della resistenza di alcuni al metodo statistico viene confermata anche dai numerosi studi accademici relativi all’analisi delle partite di Nba, come quello pubblicato dagli studiosi Jennifer Fewell e Dieter Armbruster dell’Università di Arizona State. Le loro ricerche confermano il trend in atto, portando anche importanti aggiunte alle statistiche sabermetriche classiche, grazie all’applicazione della “network analysis” allo studio di una partita. L’articolo di Chris Ballard su Sport Illustrated descrive bene la filosofia dietro ogni decisione di Morey, che grazie al suo lavoro ha portato la squadra diverse volte ai playoff e quest’anno ha aggiunto al roster il centro Dwight Howard (obiettivo di vecchia data), che insieme ai molti giovani talenti e all’altra star James Harden cercherà di portare in Texas il titolo tanto ambito.
La geniale intuizione di Beane ha ispirato anche il mondo del cinema Hollywoodiano, che ha tributato alla magica stagione degli Oakland A’s e al loro general manager il bellissimo film “Moneyball” (distribuito in italia col titolo “L’arte di vincere“), in cui un ispirato Brad Pitt interpreta le mille sfumature caratteriali del Gm californiano, con tutte le sue manie (il fatto di non guardare mai le partite della squadra, informandosi solo con comunicazioni via sms con i suoi collaboratori) e l’ossessiva ricerca statistica del giocatore perfetto tra quelli meno perfetti.
Se però il film si ferma al 2002 il mondo reale va avanti, ma in questo caso la sensazione è che tempo reale e tempo filmico siano legati in qualche modo misterioso. Beane infatti continua a svolgere il proprio lavoro per la franchiglia, che è ancora tra quelle meno dotate economicamente. E che anche quest’anno ha raggiunto l’impensabile traguardo dei playoff, che sta disputando contro i Detroit Tigers, squadra con budget quasi triplo rispetto ai californiani. Che però se ne infischiano delle mere valutazioni economiche e continuano a stupire e ad avere un impatto importante sullo sport americano perchè, come mostra anche una bella scena del film a loro ispirato, non sempre chi compie una rivoluzione, nello sport, ha bisogno di portare a casa un titolo.
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