Un messaggio inviato alle camere, come lo prevede il secondo comma dell’articolo 87 della Costituzione. È questa la via scelta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per richiamare il Parlamento – e quindi la politica – ad intervenire sulla emergenza nazionale costituita dal sovraffollamento delle carceri e dalla patologia del sistema penitenziario italiano.
“Le pene” recita la nostra Costituzione “non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”, un principio che resta inattuato a fronte della situazione iniqua e drammatica in cui versano da tempo le strutture carcerarie. Agire al più presto, secondo il Capo dello Stato, è ormai un “imperativo giuridico e morale”. Ad oggi l’Italia per lo stesso motivo è stata ripetutamente sanzionata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la cui ultima sentenza contro l’Italia risale solo allo scorso 28 maggio.
Ma la lettera di Napolitano affronta varie tematiche, che investono complessivamente il mondo della giustizia e che, se non affrontate , rischierebbero di “compromettere i livelli di civiltà” del paese: dall’utilizzo troppo disinvolto dello strumento della carcerazione preventiva a tutte quelle storture – ben note ai penalisti – che riguardano le fasi del processo e dell’esecuzione delle sentenze. E’ per questo che Napolitano ha anche accennato alla importanza del lavoro dei suoi saggi, gli ‘esperti’ chiamati dal Presidente a indicare alla politica le riforme necessarie, anche quelle costituzionali. Saggi che tuttavia hanno trovato la opposizione di fior di costituzionalisti – da Gustavo Zagrebelsky a Luigi Ferrajoli – intesi a sostenere un rinnovato impegno civile “in difesa della Costituzione” minacciata dalla cattiva politica.
Le reazioni contrarie al messaggio, in special modo alla parte in cui si invocano “rimedi alternativi” alla carcerazione quali indulto e amnistia non si sono fatte attendere, e le più dure arrivano dal Movimento di Beppe Grillo il quale della lettera ha parlato come di un “diktat al Parlamento” e di un “messaggio ad personam”. I Cinque Stelle, che già nelle scorse settimane non avevano risparmiato da attacchi le alte cariche dello Stato ivi incluso il Presidente della Camera Laura Boldrin, hanno accusato Giorgio Napolitano di essere diventato il padrino del “salvacondotto per Berlusconi” pur di consolidare quelle larghe intese continuamente sottoposte proprio alle pressioni del Cavaliere.
Da Cracovia, dove si trovava in visita, Napolitano ha non ha esitato a replicare: “coloro i quali pongono la questione in questi termini hanno un pensiero fisso e se ne fregano dei problemi della gente e del paese”. Insomma, per il Presidente della Repubblica si tratterebbe di quel “populismo giuridico” già stigmatizzato da Luciano Violante, che viaggerebbe sulle colonne del Fatto quotidiano e che ispirerebbe le battaglie del M5s, impegnato da settimane anche contro la deroga dell’art.138 sull’iter speciale previsto dai padri costituenti per le modifiche costituzionali.
I reati che vanno a rientrare nella legge di amnistia, in ogni caso, li determinerebbe il Parlamento e non il Quirinale come ha puntualizzato correttamente il Guardasigilli Anna Maria Cancellieri. E se la lettura del messaggio in aula è stata applaudita dai banchi del Pdl, è assai improbabile che nell’amnistia possano rientrare i reati per i quali Silvio Berlusconi è attualmente sotto processo. Il discorso cambierebbe invece per l’indulto, istituto che condona la pena e che potrebbe dunque intaccare l’affidamento ai servizi sociali.