La lettura storica del voto di fiducia di mercoledì scorso sembra continuare a far discutere, non solo gli interpreti ma i suoi stessi artefici. Per il premier Enrico Letta non ci sono dubbi, da quel voto sono emersi un vincente – Angelino Alfano – un perdente – Silvio Berlusconi – e un’era politica è finalmente stata archiviata. Ma le parole pronunciate dal capo del governo non sono piaciute in casa Pdl e se Renato Schifani ha espressamente invitato Letta a “guardare in casa propria” lo stesso Alfano ha deprecato “le ingerenze nel libero confronto” interno al suo partito, precisando: “vale anche per il Presidente del consiglio”.
Si incrina l’asse fra il premier e il suo vice? Non lo crede Marco Galluzzo che sul Corriere ha parlato di “gioco delle parti”. E in effetti, a ben vedere, siamo di fronte ad una fase di transizione – l’ennesima – che vede spinte in due opposte direzioni: da una parte verso la ricostituzione del centrismo, superando il Pdl e svuotando il Pd della componente cattolica, scenario che non piacerebbe solo a qualche vecchio democristiano; dall’altra c’è un bipolarismo italiano che non vuole capitolare e sembra iniziare a capire la necessità storica di limare i suoi tratti muscolari e distruttivi. Un quadro, questo, che spiegherebbe la apparente schizofrenia messa in mostra in questi giorni.
Intanto c’è ancora Berlusconi e con lui non solo i “falchi” e l’editoria di famiglia ma anche i “lealisti”. Lealisti come Mara Carfagna, Renata Polverini e Mariastella Gelmini, la quale ci tiene a precisare: “la maggioranza del partito siamo noi”. Secondo l’ormai ex ministro dell’Istruzione, che teme una deriva neocentrista lontana dall’elettorato e dal riformismo di stampo liberale, “governisti e falchi sono due minoranze, Letta vuole una scissione del Pdl e noi non dobbiamo abboccare”. Lo spettro del ritorno del Pdl alfaniano a quel minimo storico del 12% è agitato anche dall’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto, il quale in un’intervista ha auspicato, per fare chiarezza, l’azzeramento delle cariche e il congresso di partito.
Prove di unità arrivano invece dal Pd e in particolare da Matteo Renzi. Attento al congresso Pd venturo, il sindaco di Firenze ha preso le difese del bipolarismo e insieme del governo. “Letta e Alfano sono bipolaristi convinti, il grande centro è il sogno di Gentiloni e Giovanardi. Non passerà. Chiunque vinca il congresso il Pd ne uscirà ancora più bipolarista” ma, precisa Renzi, “sarà un bipolarismo rispettoso”.