Il Decreto Cultura è legge, ma non brilla

323 voti a favore, astensione del M5S ed un secco “no” della Lega: questo il risultato della votazione alla Camera del Decreto Legge proposto dal Ministro dei Beni Culturali Massimo Bray. Nei giorni scorsi il testo del Governo per rilanciare le attività culturali del Paese è stato approvato senza emendamenti, quindi traducendo in realtà il timore di sciagura che in tanti avevano manifestato in attesa della “sentenza”.

Così si è espresso colui che firma il “Valore Cultura”, Massimo Bray: “Un segnale da tutto il Parlamento. Sono molto orgoglioso per l’approvazione, a larga maggioranza, del dl Cultura alla Camera. Il provvedimento è stato approvato con il voto di Sel e l’astensione del M5S. Credo che tutto il Parlamento abbia voluto dare un segnale di cambiamento alle politiche culturali del nostro Paese. È un provvedimento che punta su cultura e turismo riconoscendo in esse due leve principali per far crescere il Paese. Un segnale che lascia ben sperare“.

Ed invece molti speravano che questo segnale giungesse con note diverse, visto che le perplessità prima della sua approvazione alla Camera erano già numerose. A partire dalle istituzioni della lirica e del teatro di prosa che hanno protestato per i forti malumori scatenati da punti controversi elencati nel DL. Dei giorni scorsi è infatti la protesta dal San Carlo alla Scala. Perché? Per via dell’equiparazione delle Fondazioni di Spettacolo pubbliche alla PA, con conseguente inserimento nell’elenco Istat degli enti soggetti alla spendig review. Il Ministero ha precisato che i tagli sono stati ridotti del 2% e che verranno presi dei provvedimenti per non penalizzare le istituzioni virtuose i cui bilanci sono stati sempre in pareggio, onde evitare di mortificarle a “banale ufficio anagrafe” (dalle parole del Direttore del Piccolo Teatro di Milano, Sergio Escobar).

Se da un lato il Decreto salva i teatri a rischio fallimento perché fortemente indebitati (grazie al Fus ed ai 75 milioni di euro stanziati per le fondazioni liriche), dall’altro centralizza il CdA delle fondazioni, istituendo un “comitato d’indirizzo” che ridurrà a sette i soggetti chiamati a decidere, riducendo il peso degli sponsor privati, e ,quindi, anche la loro motivazione a finanziare le iniziative della lirica italiana. Il Ministero fa notare che i privati possono entrare nel Comitato con una quota di finanziamento pari al 5% di quanto versa lo Stato, pertanto sarebbero agevolati. Lo scopo del Comitato unico è quello di favorire la cooperazione tra le fondazioni e lo sviluppo di un’azione centralizzata che dovrebbe agevolare un approccio sinergico a vantaggio dell’efficienza e della qualità del “prodotto”. Ancora, polemiche si sono sollevate in merito alla cancellazione della contrattazione integrativa che andrebbe a discapito dei lavoratori – considerato che il personale tecnico-amministrativo dovrà essere ridotto del 50% – anche se il MiBACT ha rassicurato circa la destinazione degli eventuali lavoratori in esubero che saranno trasferiti nelle sedi territoriali di Ales Spa.

Musica e Cinema non sono stati dimenticati. La liberalizzazione degli spettacoli dal vivo (sotto le 200 persone) darà ossigeno alla Musica, così come una tax credit portata a 4,5 milioni per aiutare soprattutto i giovani emergenti e le opere prime e secondarie. Il Cinema riceve un tax credit aumentato a 110 milioni di euro (erano 90 milioni), di cui beneficeranno anche le fiction e l’audiovisivo. In generale, lo Spettacolo riceverà fondi sulla base di un criterio di trasparenza e non più “a pioggia”, registrando anche in apposita anagrafe gli incarichi assegnati: questo andrà a vantaggio della meritocrazia? Si auspica.

Una misura speciale è stata prevista per Pompei, con la nomina di un Direttore Generale – l’ennesimo Manager? – che dovrà gestire il sito ed il budget, regolare lo svolgimento delle gare e definire le emergenze. Una Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, ed un team di tecnici (20) più 5 esperti in materie giuridiche ed economiche dovranno risollevare il sito e valorizzare il patrimonio culturale che custodisce, finora malamente.

Posti di lavoro tolti e posti di lavoro creati, a partire dai 500 laureati under35 che verranno selezionati per tirocini di 12 mesi. Ancora, finanziamenti ai Musei – dai 5 milioni al MAXXI di Roma agli 8 milioni al progetto “Nuovi Uffizi” – con anche l’apertura di spazi statali e demaniali per l’esibizione in strada di giovani artisti, emulando le iniziative parigine che con “59 Rivoli” fanno scuola. Dal 2014, inoltre, assegnati al Ministero i proventi dei biglietti venduti e del merchandising dei siti culturali, per reinvestirli nel settore museale, penalizzato dalla scorsa finanziaria (la Finanziaria 2008). Non poteva mancare l’accenno alla digitalizzazione della cultura, si spera più celere della digitalizzazione dell’Agenda – quella digitale – che ancora attende attuazione e che per i ritardi accumulati si è stimato stia comportando perdite al Paese (mancati risparmi, in realtà) per un miliardo al mese (dalle stime del Politecnico di Milano).

Le iniziative non mancano, i provvedimenti ci sono: alcuni sono controversi, anche perché sulla carta sono degni di plauso ma non si può prevedere nel concreto che traduzione pratica avranno e se davvero i benefici saranno percepibili o a beneficiarne saranno solo in pochi: gli esperti nominati per Pompei, per esempio (che ricordano un pò “i Saggi” di Napolitano, ma magari saggi lo saranno davvero).

Quello che si spera – mentre si sta a guardare che sviluppo avrà il DL tanto dibattuto – è che la cultura e, di riflesso, il turismo nazionale una leva di crescita la trovino davvero, anche perché l’Europa già ha fatto scuola e doposcuola, abbiamo perso quota e dalle retrovie la Cultura italiana vuole davvero ripartire, senza inefficienze, diseconomie ed affanni. E speriamo che Bray la mossa giusta l’abbia fatta. Diamogli fiducia.

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