È un tunnel senza una luce, una storia senza fine. I tasti dolenti nel calcio sono attivi più che mai, vanno sempre di moda e purtroppo continuano a sporcare uno sport che dovrebbe unire invece che dividere. A Bologna lo scontro tra le due tifoserie ha intralciato il cammino dei pulmann delle squadre rallentandone l’arrivo al Dall’Ara. Scontri che oltre a dei feriti (uno sembra d’arma da taglio) ed al conseguente ritardo della gara di ventiquattro minuti hanno portato a degli affondi, sempre più precisi, al cuore di questo calcio che non sembra piacerci più.
La mente ci porta all’indifferenza, il cuore ci porta ad amarlo. Gli occhi sorpresi ed incuriositi dallo striscione dei tifosi napoletani al San Paolo: “Napoli colera. Ed ora chiudete la curva”. Striscione apparentemente senza senso o visto come difesa dell’orgoglio partenopeo ma dietro sembra celarsi l’ipotesi di una solidarietà con le tifoserie milaniste ed interiste protagoniste di cori razzisti con la conseguente chiusura dei loro settori d’appartenenza.
Ma il caso più eclatante dal punto di vista della mentalità è accaduto a Benevento in Lega Pro. La sfida era contro la Nocerina ed i padroni di casa hanno ottenuto un’importante vittoria per restare ancora nelle zone alte della classifica. In una giornata di festa per i tre punti però il presidente giallorosso è voluto salire in cattedra “cacciando” il suo bomber Felice Evacuo. Perché? Ebbene, la punta scuola laziale si è addirittura azzardata a salutare la curva nocerina visto il suo recente passato rossonero. E allora se anche un gesto del genere viene punito vuol dire che i primi a sbagliare siamo proprio noi.
L’educazione nella vita è come la tecnica nel calcio. Bisogna sempre adottarla, mai dimenticarla, perché è essenziale per superare ogni ostacolo. Per andare avanti però c’è bisogno anche di altro: serenità, intelligenza e tanta determinazione. Questi dovrebbero essere i sapori più antichi del calcio, sapori che attualmente sono stati spazzati via. Chi fa calcio, quello vero, non è più di moda. Attualmente la serenità è stata sostituita dall’arroganza, l’intelligenza dai riflettori trasformando i calciatori in vere e proprie divinità. Il problema più grande è che siamo noi i primi colpevoli, il calcio italiano è semplicemente l’immagine della nostra società.
Apparire è meglio che essere da queste parti o perlomeno i media ce lo fanno credere, condizionando fortemente le menti dei più piccoli. Il problema è che non se ne accorge nessuno, il problema è che i nostri figli cresceranno con esempi di giocatori presuntuosi che non conoscono l’umiltà, di campioni eccezionali ma senza un briciolo di cervello, di gente che perde tempo a pettinarsi negli spogliatoi per poi arrendersi in campo al primo ostacolo. I nostri figli cresceranno sapendo che per risolvere un problema basterà un calcione o si sentiranno liberi di andare allo stadio per litigare o per sfogare delusioni della vita privata. Certo non si può fare tutta d’erba un fascio, ma purtroppo i nostri figli cresceranno in un mondo sbagliato.
Noi siamo colpevoli perché ci siamo innamorati di questo sport ai tempi della scuola calcio, felici con un pallone o con qualsiasi elemento tondo, sapendo cos’è il rispetto. Noi ci siamo innamorati di Roberto Baggio, Paolo Maldini, Franco Baresi e per ultimi Alessandro Del Piero o Javier Zanetti senza dimenticare gli eroi del passato. Uomini saggi, umili, educati e campioni senza tempo con la palla tra i piedi. Insieme a loro siamo cresciuti in un mondo dove la passione contava più dell’interesse, dove i soldi c’erano ma non erano al primo posto, dove erano i giocatori i primi ragazzini appassionati di questo sport.
Ora non è più così e la paura più grande è che non sembra esserci un punto di ritorno. Quindi, schiavi dei media, i nostri figli assisteranno a telecronache faziose, ad accuse gratuite e tanta maleducazione. Al gioco partecipano anche i protagonisti sul campo, che spesso sono i primi a dare il cattivo esempio, i primi a fomentare l’odio tra tifoserie. Il problema si ripercuote poi sulla nostra società, sulla nostra crescita. Sull’educazione dovremo intervenire noi, sulla sicurezza negli stadi il governo. Ma il governo non interviene o fa finta di farlo senza averne interesse perché impegnato in scandali ben più gravi. Intanto noi viviamo il tempo della paura, sperando che nostro figlio non cresca così, sognando l’amore in questo sport senza essere schiavi dei suoi vizi peggiori.