Due ruote fissate ad un telaio, controllate da un manubrio e mosse da un dispositivo costituito da pedali e ingranaggi, azionati dalla forza muscolare umana: dai primi disegni del progetto, attribuiti a Leonardo da Vinci, sino al successivo modello, migliorato nella componentistica, del francese Ernest Michaux, l’idea di bicicletta non è cambiata.
Dopo il declino dovuto al fenomeno della motorizzazione, il velocipede ha riacquistato negli anni popolarità, tanto da acquisire livello di priorità nelle problematiche comunali, nazionali ed extra-nazionali.
Numerosi sono infatti i progetti a favore dell’ecomobilità, in tutto il territorio italiano, volti a dare una risposta ai “mali” di questo tempo, come il rincaro del carburante e l’inquinamento ambientale.
Dunque, strade immerse nel verde, parchi, fontane, fiori e biciclette resteranno solo un’utopia?
Pare di si, dal momento che resta insanata l’incoerenza delle Istituzioni, che “lanciano il sasso” promuovendo spinte ecologiste, per poi “nascondere la mano” tirandosi indietro quando c’è da concretizzare.
Nonostante ciò, le stime degli ultimi anni evidenziano un incremento del cosiddetto “grado di ciclabilità” delle città, determinabile dal numero di chilometri di piste presenti nella porzione di territorio esaminata. Un indice che, tuttavia, offre una lettura limitata e parziale, poiché non tiene conto delle condizioni delle piste, della disposizione di quest’ultime, della sicurezza garantita al ciclista e tanto altro.
Dal nord al sud Italia visioni aberranti di tentate ciclabili, si stagliano dinanzi agli occhi inermi di ciclisti, occasionali e non, esposti a pericoli di ogni sorta. Le piste vengono, invero, realizzate senza una logica di collegamento tra punti di interesse e senza una reale integrazione nel tessuto urbano. Misera è la manutenzione, copiose e strambe, invece, sono le “interpretazioni” di queste zone riservate alla circolazione dei velocipedi. Le poche eccezioni si osservano in Liguria, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna.
Un dato assai limitante per la promozione di una buona mobilità ciclistica, specie se non accompagnato da interventi di traffic calming. E limitante anche per tutti i vantaggi che questa comporterebbe.
Spostarsi in bici è infatti:
Veloce: nelle ora di punta, in particolare, i velocipedi si muovono nel traffico urbano quasi con il doppio della velocità di un’automobile. Per non parlare del tempo che si risparmia nella ricerca del parcheggio.
Economico: abbatte i costi del carburante che, ormai si sa, sono saliti alle stelle. Basterà, infatti, solo un po’ d’acqua per idratare il conducente.
Ecologico: se tutti andassero a lavoro in bici, crollerebbe incredibilmente il livello di smog presente nell’area urbana, a vantaggio degli abitanti e del territorio.
Salutare: il ciclista medio perde circa 6 kg in un anno, recandosi in bicicletta a lavoro o utilizzando la bici per gli spostamenti interurbani. La bicicletta resta difatti un leitmotiv del wellness nello stile di vita quotidiano.
Di moda: la Graziella, symbol della gioventù benestante degli anni ’60, ha conquistato i cuori dei giovani e degli stilisti, pronti a firmare le stravaganti versioni della bici da città.
Rilassante: pedalare ha effetti distensivi sul corpo, permette di scaricare le tensioni, riflettere e perché no, astrarsi per un po’ dalla realtà.
Dunque, è lampante, abbondanti sono i benefici offerti da uno strumento che raccoglie tutto questo nella sua geniale semplicità. Una semplicità che può essere la più grande metafora della vita. Una semplicità che permette di godersi il paesaggio, sentire il profumo del mondo, ascoltare i rumori del posto che si è scelto per vivere.
E allora, pedaliamo?