Se fino a qualche tempo fa il comportamento individualista sul lavoro andava per la maggiore, ora non è più così, soprattutto in questo periodo di crisi. Le aziende puntavano su atteggiamenti egoistici, in cui il lavoratore doveva pensare solo a sé stesso portando a casa il risultato migliore, in modo da contribuire, o almeno si pensava, ad un vantaggio economico per l’azienda.
Questa teoria individualista non solo ha creato una classe di lavoratori disposti a tutto pur di far carriera, ma ha portato anche alla nascita del termine free riders, ovvero un modo carino per definire coloro che approfittano degli altri per trarne un vantaggio personale.
I free riders non sono presenti solo nelle realtà aziendali, ma anche nel mondo della finanza, ambiente in cui è stata coniata la definizione.
È stato riscontrato che le aziende che operano con una pervalenza di comportamenti individualistici non mettono i loro dipendenti in condizione di lavorare tranquilli. Questo è dovuto a una reazione psicologica chiamata selfishness, ovvero l’ansia di non riuscire a realizzare gli obiettivi concordati, che va ad intaccare il rendimento lavorativo dei dipendenti, creando un circolo vizioso.
Le aziende che motivano i lavoratori a operare insieme funzionano meglio in quanto rendono più efficienti i dipendenti, che a loro volta aumenteranno il loro livello di benessere. All’estero è già molto diffuso il fenomeno del coworking. Sentirsi parte di un gruppo e di un’azienda in cui prevale la condivisione, stimola le persone a condividere con altri i propri sentimenti di appartenenza e a svolgere le proprie attività in un modo più rilassato e libero.
In periodi di crisi il comportamento dei dipendenti altruisti diventa ancora più incisivo. L’università di Harvard, ha svolto una ricerca che svela come sorridere ed essere cordiali aiuti a non essere licenziati in un’azienda. Quando i dirigenti sono costretti a decidere chi licenziare, molte volte escludono chi ha un comportamento positivo e chi lavora tranquillamente con gli altri. Naturalmente scegliere una persona per il suo sorriso piuttosto che per le sue capacità potrebbe essere discriminante, ma esprime a pieno come lavorare in gruppo, con persone in sintonia fra loro, aumenti il rendimento aziendale.
Naturalmente non si possono controllare o sanzionare le persone che non lavorano bene insieme e si dissociano preferendo l’individualità. Invece di partire dall’alto utilizzando dei supervisori che controllano i dipendenti, si deve creare un’organizzazione aziendale etica, che abbia come principio fondamentale l’altruismo e il lavoro di squadra, dando origine a un sentimento comune fra chi lavora, che vada contro l’egoismo.
Si cerca perciò un modo per far arrivare l’altruismo all’interno della mentalità aziendale, escludendo i comportamenti egoistici basati su obiettivi irrealistici assegnati al singolo individuo. Sempre più spazio conquistano i colloqui di gruppo in cui, grazie a giochi di ruolo o a domande mirate formulate dagli psicologi, si riesce a capire se la persona sarà adatta a lavorare in modo altruistico.
Si spera che in futuro molte aziende possano rinnovarsi, puntando magari proprio sull’altruismo e sul gioco di squadra, stigmatizzando il sistema di free riders, e disincentivando dunque chi in azienda lavora sono per un tornaconto personale. L’altruismo applicato alla realtà aziendale si è rivelato vincente, ed è proprio per questo che i ricercatori si auspicano che le aziende siano in grado di promuoverlo come valore aziendale.