Proprio ieri, con il passaggio della maggioranza di Telecom Italia alla spagnola Telefonica, un altro pezzo storico del sistema produttivo italiano è finito in mani estere.
L’Italia è diventata l’Eldorado delle aziende straniere in cerca di opportunità di investimento perché è ricca di aziende che fanno prodotti eccezionali, ma che non riescono più a stare sul mercato in maniera profittevole.
La lista dei pezzi pregiati venduti all’estero è lunga e comprende molte eccellenze del made in Italy. Solo per fare qualche nome, non sono più di proprietà italiana: Pernigotti; Valentino; Bulgari; Gucci; Peroni; Buitoni; Fendi. Si potrebbe continuare a lungo visto che siamo nell’ordine di alcune decine.
E la lista è destinata a infoltirsi con ulteriori nomi prestiosi. Infatti è attesa a breve l’acquisizione di Alitalia da parte di AirFrance-KLM, società franco-olandese.
Questo genere di notizie di solito ci rattrista perché ci sembra di perdere il controllo di prodotti con una tradizione secolare e di cui siamo sempre andati orgogliosi, a maggior ragione perché all’estero ce li invidiano.
Coldiretti ha recentemente stimato in circa 10 miliardi di euro il valore del patrimonio che questa serie di acquisizioni ha portato fuori dall’Italia nell’ultimo anno.
Terminata la reazione malinconica e tornati con i piedi per terra ci rendiamo conto che dopotutto, Telecom Italia, e lo stesso dicasi per molti degli altri brand acquisiti, non andasse così bene e che probabilmente sarebbe andata nella direzione di un declino inarrestabile se nessuno avesse intravisto una possibilità di rilancio.
Poi guardiamo al mercato e scopriamo che il titolo dell’azienda di telecomunicazioni ha reagito in maniera abbastanza positiva alla notizia.
Se è vero che ci dispiace sapere le nostre aziende storiche in mani straniere, dobbiamo ammettere anche che spesso queste operazioni possono rappresentare una vera e propria opportunità di salvezza per le aziende target.
Le aziende che vengono a fare shopping in Italia hanno tutte le intenzioni di risollevare le sorti delle imprese che acquistano e nella maggior parte dei casi investiranno su di esse le risorse necessarie a un cambio di rotta, anche strategico.
Gli aspetti più delicati delle acquisizioni da parte di aziende straniere riguardano non tanto la tutela del marchio e dei prodotti, quanto quella dei lavoratori e della localizzazione delle produzioni.
I nuovi proprietari infatti potrebbero essere tentati a favorire l’occupazione delle risorse presenti nel loro paese di origine piuttosto che quelle italiane; o ancora l’altra tentazione potrebbe essere quella di delocalizzare gradualmente le produzioni in altri paesi con regimi fiscali più convenienti.
Il Governo e il mondo politico hanno già dichiarato che vigileranno sui risvolti occupazionali dell’acquisizione di Telecom, ma data la perenne instabilità politica del nostro paese sono in pochi a fidarsi.
La vera sconfitta derivante dalla svendita delle aziende italiane potrebbe causare un’ulteriore diminuzione di peso politico-decisionale a livello europeo, derivante da una perdita di controllo di settori strategici dell’economia, come l’agroalimentare, la moda, le telecomunicazioni e presto anche i trasporti aerei.
E in un contesto comunitario in cui la Merkel è stata riconfermata come leader informale delle politiche di austerity questo non gioverà sicuramente all’Italia, che indebolita, non potrà far altro che rimanere intrappolata nelle maglie della corsa al pareggio di bilancio.
Il patrimonio passato in mani straniere vale all’incirca 10 miliardi di euro, però possiamo consolarci anche con buone notizie che provengono dalle realtà imprenditoriali più virtuose, dato che un recente studio di Kpmg intitolato “Non solo prede” riporta che dal 2009 ad oggi le aziende italiane hanno portato a termine circa 250 acquisizioni all’estero, per un totale di 5 miliardi solo nell’ultimo anno.
Esiste quindi un tessuto produttivo ancora in forma, nonostante tutto, e che ci permette di compensare parzialmente la perdita di grandi marchi storici del made in Italy.
E dopotutto, piuttosto che mantenere in vita in stato vegetativo un made in Italy intriso di inefficienze, non è così tragico che gli stranieri vengano a controllare le nostre aziende, con la speranza che ci mettano tutto il rigore e l’impegno per cui sono noti.