Il 18 settembre trenta attivisti di Greenpeace sono stati arrestati dalle autorità russe dopo aver tentato di salire sulla piattaforma petrolifera di Gazprom. Scopo dell’azione era quello di dimostrare la pericolosità delle trivellazioni, soprattutto in un ecosistema delicato come quello dell’Artico. La risposta delle autorità russe non ha tardato ad arrivare. Gli attivisti sono stati tutti arrestati e saranno processati con l’accusa di pirateria. In Russia la pena massima prevista per tale reato è di quindici anni di carcere.
Greenpeace, da parte sua, ha lanciato una mobilitazione mondiale per chiedere il rilascio dei suoi attivisti e denunciare sia il pericolo che rappresentano appunto le trivellazioni, sia per denunciare la violenza delle autorità russe. L’associazione sostiene inoltre che gli attivisti sono stati arrestati senza che venisse loro fornita la possibilità di un’assistenza legale.
Secondo quanto riportato sul sito di Repubblica la reazione sarebbe frutto di un equivoco, in quanto “Due (attivisti) hanno scalato la piattaforma allo scopo di piantare la capsula di sopravvivenza, utilizzata come tenda in casi di temperature estreme, scambiata poi per una bomba dalle autorità russe”. Lo stesso sito riporta anche le parole di Stefan Kirchner, esperto di diritto internazionale convocato da Greenpeace per la questione Artic Sunrise, secondo cui “”Le azioni della Russia in materia di Artic Sunrise sono incompatibili con il diritto internazionale e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari e, eventualmente, di altri trattati internazionali. Sospettiamo che il paese di Putin abbia violato i diritti umani dei membri dell’equipaggio, nonché i diritti dello Stato di bandiera (Olanda) e di rispettivi Stati membri dell’equipaggio. Al fine di rispettare il diritto internazionale, la Russia deve garantire il rapido rilascio della nave e del suo equipaggio”.
I combustibili fossili che queste trivellazioni vogliono reperire e sfruttare, com’è ormai dimostrato dalla comunità scientifica, sono tra i maggiori responsabili del surriscaldamento globale e continuare a voler reperire risorse in quella zona e con quei sistemi arrecherebbe ulteriori danni, irreversibili, al già delicato e fragile ecosistema artico. Oltre allo scioglimento dei ghiacciai. Senza considerare che eventuali fuoriuscite di combustibili sono attualmente impossibili da ripulire.
La Russia non è esattamente considerata una nazione leader nel rispetto dei diritti umani quindi le preoccupazioni dell’associazione per la sorte degli attivisti sembrano essere più che legittime. Della questione se ne starebbe occupando il ministro degli esteri, Emma Bonino.