Lo scopo delle profezie, generalmente, è più quello di fare rumore che scongiurare qualche possibile effetto negativo; quella dell’ex banchiere di Citi Satyajit Das non è passata del tutto inosservata. “I mercati azionari sono paragonabili ad una persona che attende di ricevere l’estrema unzione”. La sua profezia poggia sull’ipotesi che i prezzi trascurino alcuni parametri fondamentali dell’economia, come ad esempio la crescita economica, i profitti realizzati dalle industrie e il Pil. Dalle sue parole possiamo comprendere come la distanza fra economia reale ed economia finanziaria si stia accentuando sempre di più. La domanda sporge spontanea: a che cosa servono questi due canali della teoria economica? E soprattutto perché sono così lontani fra loro?
Cosa si intende per economia reale e finanziaria?
Per economia reale si intende la ricchezza prodotta da un paese, misurata attraverso una grandezza macroeconomica che prende il nome di Prodotto Interno Lordo (Pil), mentre l’economia finanziaria è la parte della teoria economica che si occupa dello studio dei mercati finanziari, del comportamento degli agenti economici e delle situazioni in cui operano. Quest’ultima è sicuramente quella più conosciuta, soprattutto a causa della cosiddetta bolla finanziaria scoppiata nel 2006 che ha avuto gravi conseguenze, ancora in evoluzione, sull’economia mondiale dei paesi sviluppati.
Perché sono così lontane fra loro?
Un esempio è quello dello spread, ossia il differenziale fra i titoli di stato tedeschi e quelli italiani. Al momento delle dimissioni dell’ex premier Silvio Berlusconi, si attestava intorno ai 580 punti ed era indicato come la causa in grado di bloccare le economie mondiali. Dopo due anni il differenziale si attesta sui 240 punti base, ma restano ancora i problemi del settore reale, letteralmente in ginocchio a causa delle politiche di austerity imposte dall’Europa, dall’eccessiva pressione fiscale, che continua a colpire soprattutto i ceti più bassi.
È questa la critica che viene rivolta sempre più spesso alla finanza e cioè quella di rappresentare un mondo a sé stante in indici e titoli non sono più indicatori della situazione industriale di un paese, bensì valori con i quali gli operatori possono speculare in cerca di profitti di breve periodo.
Come diminuire questo divario?
Una possibile soluzione potrebbe essere la diminuzione delle imposte, in modo tale da consentire alle imprese nostrane di produrre di più ed assumere nuovi lavoratori, con il conseguente aumento dei consumi, ormai al minimo storico. Altre misure riguardano l’accesso al credito da parte delle imprese, che non riescono ad effettuare investimenti a causa della forte sottocapitalizzazione degli istituti bancari. L’Italia ha bisogno di riforme efficaci ed esaustive, prima che sia troppo tardi.